Toscana Rossa esclusa da una soglia di sbarramento antidemocratica

Con il 47,73% di affluenza, anche la Toscana conferma la sfiducia nel sistema elettorale. Allo stesso tempo, Antonella Moro Bundu ottiene il 5,18%, ma Toscana Rossa resta fuori dal Consiglio regionale. Annunciato ricorso per riconteggio e chiarimenti sul voto disgiunto.

Le elezioni regionali toscane del 12-13 ottobre si sono chiuse con un dato che vale più di qualsiasi trionfo o sconfitta: per la prima volta l’affluenza è scesa sotto la soglia del 50%, fermandosi al 47,73%. È l’ennesima conferma plastica della perdita di fiducia verso un sistema elettorale e una democrazia borghese che appaiono, agli occhi di molti, sempre meno capaci di rappresentare davvero la volontà popolare, confermando i dati provenienti dalle altre regioni andate al voto. In questo quadro, l’esclusione dal Consiglio regionale di Toscana Rossa, nonostante la candidata presidente Antonella Moro Bundu abbia superato il 5% diventa il caso emblematico di una legge pensata per stabilizzare l’esistente più che per dare voce alle minoranze sociali e politiche.

Secondo i dati ufficiali, Eugenio Giani è stato rieletto presidente per il centrosinistra con il 53,92% dei voti validi; Alessandro Tomasi, candidato del centrodestra, si ferma al 40,90%; infine, come anticipato, Antonella Bundu, unica candidata alternativa alle due coalizioni principali, ottiene il 5,18% come candidata presidente. Ma, mentre la coalizione di centrosinistra conquista ventiquattro seggi e il centrodestra sedici, Toscana Rossa rimane fuori dall’aula perché la sua lista si arresta al 4,51%, al di sotto della soglia del 5% prevista per le liste non coalizzate. Il verdetto, tuttavia, non è affatto neutro, in quanto dipende da un meccanismo che separa il voto al candidato presidente dal voto di lista e che calcola le soglie non sulla preferenza al candidato, bensì sui voti attribuiti alle liste. È esattamente ciò che è avvenuto: la candidatura Bundu passa il 5%, la lista no, e la rappresentanza svanisce.

Antonella Bundu ha denunciato con chiarezza, già la mattina del 14 ottobre, l’assurdità percepita da molti elettori. Intervistata da Novaradio, ha spiegato che “tanti hanno votato solo il mio nome e non la lista”, e che per questo Toscana Rossa presenterà ricorso per ottenere un riconteggio e un’analisi puntuale delle schede. La tesi è semplice e, al tempo stesso, dirompente sul piano politico: se una parte consistente di cittadini ha inteso sostenere la candidata presidente senza indicare alcuna lista, si è di fronte a una volontà politica che l’attuale impianto normativo non riconosce, perché quel voto non si traduce seggi. Bundu ha inoltre parlato di “modo di votare un po’ strano” e ha ricordato un precedente veneto legato al Movimento 5 Stelle per suffragare la scelta del ricorso. La sostanza del messaggio è che la legge, così com’è, non serve a misurare la reale domanda di rappresentanza espressa dagli elettori, ma a filtrarla.

La posizione della candidata è stata ripresa da più testate locali e nazionali, che hanno sottolineato due passaggi. Il primo è la rivendicazione dell’aver superato il 5% come candidata, oltre settantaduemila preferenze, a fronte di un voto di lista rimasto sotto soglia. Il secondo è l’intenzione di far valere, innanzi al giudice amministrativo, l’argomento secondo cui molte schede con il solo segno sul nome “Bundu” dovrebbero essere lette come volontà di sostenere la lista collegata. È una linea, quest’ultima, che mette il dito nella piaga della distanza tra linguaggio giuridico e senso comune degli elettori. In parallelo, la stessa Bundu ha riconosciuto che il voto disgiunto “ha penalizzato” la lista, pur essendo uno strumento previsto dalla legge; ma proprio per il fatto che molti non hanno scelto “altre liste”, Toscana Rossa tenterà ogni strada per recuperare ciò che ritiene uno scarto non meramente aritmetico ma politico.

Per capire la base legale di quanto accaduto bisogna tornare alla legge regionale 51 del 2014. La normativa toscana prevede infatti un sistema proporzionale su base circoscrizionale con metodo d’Hondt, un premio di maggioranza variabile e, soprattutto, soglie di sbarramento che agiscono a livello di lista. Se una lista si presenta da sola, senza coalizione, entra al riparto dei seggi solo se supera il 5%; se è in coalizione, invece, valgono soglie diverse, avvantaggiando dunque quei partiti che scelgono di appoggiare le forze di centrodestra e centrosinistra, piuttosto che quelle che tentano di proporre alternative reali. Ad ogni modo, sono i voti di lista a contare per la rappresentanza. Il voto al candidato presidente ha una funzione distinta, legata all’elezione diretta del vertice dell’esecutivo o all’eventuale ballottaggio. Le schede illustrative della Regione e un recente dossier del Servizio studi della Camera, pubblicato proprio alla vigilia del voto, confermano che il voto al presidente non si somma automaticamente alla lista collegata e che la soglia del 5% è calcolata sui voti di lista.

L’atto di ricorso si muoverà perciò su due binari. Il primo, tecnico, consiste nella richiesta di verifiche su verbali e schede per accertare eventuali errori materiali, mancati abbinamenti o irregolarità nello scrutinio che, sommandosi, possano portare la lista dal 4,51% al fatidico 5%. Si tratta, è bene dirlo, di un salto non banale a livello regionale e che richiede di recuperare migliaia di voti. Il secondo, interpretativo, è quello che punta a valorizzare in via giurisprudenziale il significato politico delle schede con il solo nome della candidata, chiedendo che quel segno abbia un effetto rappresentativo più vicino all’intenzione dell’elettore. In ogni caso, il ricorso è pienamente legittimo e politicamente coerente con la denuncia di Bundu: “Questa legge elettorale va cambiata non solo per noi”, ha detto, “perché poi la gente non va a votare”, richiamando l’affluenza al 47% come sconfitta della democrazia nel suo complesso.

Mentre si avviano le procedure legali resta la questione politica più ampia. Se si rapporta il risultato di Giani all’intero corpo elettorale, il suo consenso effettivo è quello di circa un quarto degli aventi diritto, il 25,7%. È un dato che non sminuisce la vittoria formale, ma che ne misura la legittimazione materiale in un contesto in cui oltre la metà dei toscani non ha preso parte al voto. La stessa affluenza, resa nota dai dati ufficiali, segna un calo di quasi quindici punti rispetto al 2020 e certifica l’erosione di fiducia nella capacità della politica istituzionale di rappresentare e trasformare le condizioni di vita. In questo clima, la soglia di sbarramento agisce come una “sbarra” in senso non metaforico, selezionando l’accesso alla rappresentanza sulla base di una cifra che nulla dice, di per sé, della qualità della proposta politica o del radicamento sociale, ma che decide chi entra e chi resta fuori.

Per questo la battaglia di Toscana Rossa, al di là dell’esito processuale, ha un valore politico rilevante. La candidatura Bundu ha dato voce a un pezzo di società che chiede rappresentanza e conflitto sui temi del lavoro, della sanità pubblica, della casa, della transizione ecologica non regressiva. La soglia del 5%, applicata a una lista sola, ha trasformato quella voce in rumore di fondo. Il ricorso chiederà innanzitutto giustizia contabile, riconteggiare, verificare, ammettere eventuali schede finite nel limbo. Ma la posta politica è un’altra: riportare al centro il principio che la rappresentanza non può essere un effetto collaterale della tecnica elettorale. Se oltre 72.000 cittadini hanno segnato il nome di Bundu pensando di sostenere l’ingresso di Toscana Rossa in Consiglio, è il sistema a dover spiegare perché quella intenzione sia stata resa inefficace da una legge pensata per favorire il mantenimento dello status quo.

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte e del link originale.

Avatar di Sconosciuto

About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There is one comment

Scrivi una risposta a Veneto, Campania, Puglia: unico vincitore l’astensionismo | World Politics Blog Cancel

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.