Sta per arrivare un bastimento di spese militari

Arriva una manovra “di guerra”: più miliardi alle armi, meno a sanità, scuola e welfare, con spese militari occultate in altri capitoli, l’obiettivo del 2,5–3,5% del Pil e debito UE “protetto”. Intanto si riconvertono le industrie civili e si strumentalizza la questione palestinese.

Una manovra economica che non porta soldi al welfare, a sanità e istruzione che diventano invece le vittime sacrificali per l’aumento delle spese militari. Eppure, ne avrebbero forte bisogno visto che spendiamo meno della media europea.

E molti capitoli di bilancio afferenti ad altri ministeri non sono di aiuto per quantificare la spesa militare complessiva che risulterà invece inferiore alla media europea facendo credere che in fondo la Meloni è una premier oculata e indipendente, attenta agli interessi nazionali.

Ma è veramente così?

Navigano a vista, perfino sulla questione palestinese, senza mai mettere in discussione il sostegno ad Israele, sono passati da una posizione all’altra fino a dichiarare che un eventuale riconoscimento dello stato palestinese, senza Hamas, sarebbe in fondo la scelta giusta. Hanno fiutato il cambio del vento di una opinione pubblica schierata contro il genocidio e sanno che la campagna mediatica dei giornali di centro destra non farà loro cambiare idea nonostante fake news e letture parziali improntate alla difesa dell’ordine pubblico, all’odio verso chi sciopera.

Le spese per la difesa aumenteranno nei prossimi anni, magari meno di quanto previsto dagli accordi Nato e Ue che vogliono i loro muri di droni e di missili, le armi all’ucraina, sia sufficiente guardare gli articoli sulla stampa e, meglio ancora, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp).

La spesa militare crescerà di circa 3,3 miliardi in più l’anno prossimo, quasi 7 quello dopo e 12 miliardi dal 2028 in poi, fatti due conti sono oltre 22 miliardi più di quanto speso fino ad oggi, si passa al 2,5% del Pil per spesa militare arrivando in 8\9 anni al 3,5% alle quali aggiungere oltre l’1,5% di spese non specificate in sicurezza, le missioni militari all’estero e altri “investimenti” afferenti a vari capitoli e differenti Ministeri.

Una economia di guerra che si rispetti ha bisogno di accrescere le spese militari, di prestiti dalla UE, della clausola di salvaguardia comunitaria che esclude le nuove spese per la difesa dai tradizionali vincoli fiscali europei, nella speranza di uscire presto dalla procedura di infrazione (per avere superato la soglia del debito pubblico ammesso da Bruxelles) e accrescere ulteriormente le spese.

I miliardi per la difesa potrebbero presto sparire dai parametri Ue, la ipotesi di emissione del debito, pagandone gli interessi, è una condizione essenziale per la tenuta del sistema che punta sulle imprese di armi per superare la crisi in cui si dibatte l’economia e a tale scopo stanno lavorando per riconvertire ad uso militare le imprese civili di settori in forte depressione.

In questo scenario di corse e rincorse alle spese militari la questione palestinese gioca un ruolo dirimente anche per la straordinaria mobilitazione contro il genocidio in atto in Italia e in altri paesi europei nei quali molti attivisti antisionisti sono oggetto di feroci repressioni con arresti arbitrari e accuse infondate.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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