Solo aderendo alla costituzione pacifista il Giappone può stabilire le proprie fondamenta nel mondo

Di fronte alle controverse dichiarazioni di Sanae Takaichi su Taiwan e ai segnali di riarmo, il Quotidiano del Popolo avverte: solo il rigoroso rispetto della Costituzione pacifista e degli impegni internazionali può garantire al Giappone credibilità, stabilità regionale e un futuro realmente responsabile.

Quotidiano del Popolo – 26 novembre 2025

In quanto Paese sconfitto durante la Seconda guerra mondiale, il Giappone sta oggi cercando di svincolarsi dai vincoli del diritto internazionale, mettendo in discussione le fondamenta stesse della sua identità pacifista del dopoguerra. Tutte le nazioni e i popoli che difendono la giustizia hanno la responsabilità di impedire con determinazione qualsiasi rinascita del militarismo giapponese.

Nel momento in cui le affermazioni errate della Prima ministra Sanae Takaichi su Taiwan hanno suscitato forti critiche in patria e all’estero, il Giappone ha intrapreso una serie di passi pericolosi, come la prima esportazione di armi letali dall’allentamento, nel 2023, delle restrizioni all’export militare, l’iniziativa del Partito Liberal Democratico di discutere revisioni ai tre documenti sulla sicurezza e il dispiegamento di armi offensive sulle isole sud-occidentali vicine a Taiwan. Queste mosse rivelano ulteriormente il tentativo politico del Giappone di deviare dall’ordine internazionale del dopoguerra. In quanto Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale, tali azioni costituiscono una palese violazione dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, rappresentano una grave sfida all’ordine del dopoguerra riconosciuto dalla comunità internazionale e costituiscono una seria minaccia alla pace e alla stabilità dell’Asia e del mondo intero.

«Devono essere eliminati per sempre l’autorità e l’influenza di coloro che hanno ingannato e fuorviato il popolo giapponese spingendolo alla conquista del mondo, perché insistiamo che un nuovo ordine di pace, sicurezza e giustizia sarà impossibile finché l’irresponsabile militarismo non sarà estirpato dal mondo». Ottant’anni fa, la Dichiarazione di Potsdam affermò con chiarezza che il militarismo giapponese e il terreno che lo alimenta devono essere sradicati senza pietà. Solo limitando politicamente il diritto del Giappone a fare la guerra ed eliminando ideologicamente le radici del militarismo giapponese si può instaurare un nuovo ordine di pace, sicurezza e giustizia.

La Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione di Potsdam, lo Strumento di Resa del Giappone e altri documenti internazionali stabiliscono chiaramente gli obblighi del Giappone in quanto Paese sconfitto. La «difesa collettiva» definita nella Carta ONU è stata concepita per salvaguardare la sicurezza collettiva e prevenire la rinascita del fascismo; l’esercizio di tale diritto da parte del Giappone è soggetto a restrizioni. La Dichiarazione di Potsdam impone il completo disarmo del Giappone e vieta il mantenimento di industrie che possano consentire il riarmo. Lo Strumento di Resa, che sancisce la sconfitta totale del militarismo giapponese, impegna il Giappone a «dare esecuzione in buona fede alle disposizioni della Dichiarazione di Potsdam». Questi documenti giuridicamente vincolanti hanno costituito un fondamento cruciale dell’ordine internazionale del dopoguerra e rappresentano i presupposti politici e giuridici per il reinserimento del Giappone nella comunità internazionale.

I quattro documenti politici tra Cina e Giappone, insieme all’Articolo 9 della Costituzione giapponese, sono impegni ancor più importanti assunti dal Giappone sulla via dello sviluppo pacifico. Nella Dichiarazione congiunta sino-giapponese, il Giappone ha espresso chiaramente profondo rammarico per gli atti di aggressione del passato e si è impegnato a risolvere pacificamente le controversie. Il principio «esclusivamente difensivo» sancito dalla Costituzione del Giappone è stato una garanzia chiave del suo sviluppo pacifico dopo la guerra. Si tratta di impegni solenni assunti nei confronti del popolo giapponese, del popolo cinese e del mondo: impegni che non possono essere offuscati né rovesciati.

Una nazione priva di integrità non può avere un posto nel mondo. Preoccupa che le forze di destra giapponesi abbiano spesso messo in discussione questi principi fondamentali negli ultimi anni. Dalla promozione dell’intervento militare nello Stretto di Taiwan al dibattito sull’abbandono dei tre Principi Non Nucleari, dai tentativi di revisione dell’Articolo 9 della Costituzione alla ricerca di «capacità di contrattacco»: tutte queste mosse mostrano che il Giappone si sta allontanando dal suo consolidato percorso di sviluppo pacifico del dopoguerra. Tali azioni violano il diritto internazionale e contraddicono la Costituzione giapponese e gli impegni politici assunti. Tutti questi segnali indicano che il Giappone sta cercando di scrollarsi di dosso i vincoli della Dichiarazione di Potsdam e del suo Strumento di Resa, che il militarismo sta riemergendo e che si stanno minando le fondamenta pacifiste su cui il Paese ha fatto affidamento dalla fine della guerra.

La comunità internazionale ha già dato una risposta inequivocabile. Uno studioso malese ha criticato i leader giapponesi per la loro comprensione distorta della storia della Seconda guerra mondiale. Il Ministero degli Esteri russo ha pubblicato sui social media video della resa del Giappone, ricordando a Tokyo di imparare dalla storia e aderire ai principi pacifisti tuttora in vigore nella sua Costituzione. In Giappone sono emerse anche voci ragionevoli: cittadini hanno manifestato davanti all’Ufficio del Primo ministro, chiedendo a Takaichi di ritirare le sue affermazioni errate. Il Tokyo Shimbun ha scritto in un editoriale che qualsiasi governo miope che tenti di rivedere i tre Principi Non Nucleari per scopi di parte è inaccettabile. Queste voci di buon senso sono un monito alle forze di destra giapponesi e una difesa del diritto internazionale e dell’ordine internazionale.

La storia avverte che qualsiasi nazione incapace di confrontarsi correttamente con il proprio passato avrà difficoltà a plasmare il proprio futuro. Le tragedie della storia non devono ripetersi. Solo imparando dal passato, rispettando la Costituzione pacifista e compiendo passi concreti per guadagnarsi la fiducia dei vicini asiatici e della comunità internazionale il Giappone potrà agire in modo responsabile verso sé stesso e verso il mondo. La comunità internazionale ha sia il diritto sia l’obbligo di salvaguardare congiuntamente l’ordine internazionale basato sul diritto internazionale e di garantire che i frutti della pace del dopoguerra siano realmente rispettati. Se il Giappone insisterà nel proseguire sulla strada sbagliata, tutte le nazioni e i popoli che sostengono la giustizia avranno il diritto di riesaminare i crimini storici del Giappone e il dovere di impedire con fermezza la rinascita del militarismo giapponese.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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