L’arte di confondere la realtà. I ricchi non piangono nel Bel Paese

Giorgia Meloni: “Ci vuole coraggio a dire che la manovra avvantaggia i ricchi”.

Se non credete a noi per pregiudizio ideologico, legittimo sospetto o semplicemente perché siamo degli inguaribili comunisti, provate almeno a consultare i siti Istat, Banca d’Italia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di Bilancio, troverete analisi accurate della Legge di Bilancio e dello stato in cui versa il nostro paese, tra le innumerevoli pagine non mancano critiche (fondate) alle scelte del Governo.

La lieta novella Meloniana tende a raccontare di una Legge ragionieristica dello Stato che riporta i conti a posti, risolve il contenzioso con Bruxelles, aumenta il potere di acquisto dei salari, accresce perfino i fondi alla sanità.

In queste settimane, come centro studi, sindacato Cub e Radio Grad, abbiamo provato a confutare pezzo dopo pezzo questa narrazione evidenziando come i ceti popolari e quelli medi non escano rafforzati dalla Manovra di Bilancio 2026.

Il ceto medio, ad esempio quanti guadagnano 2 mila euro al mese e quindi attorno ai 40 mila annui, dalla riforma Irpef avrà pochi euro al mese che non compenseranno il potere di acquisto perduto, le misure a sostegno della lotta alla povertà sono poche e di importo risibile. A guadagnarci saranno invece i redditi più elevati, da 200 mila euro annui in su. Proviamo in estrema sintesi a elencare le tante contraddizioni emerse in questi giorni ma sapientemente occultate

  • Passa dal 35% al 33% la seconda aliquota Irpef sui redditi tra i 28 mila e 50 mila euro annui ma il guadagno è nullo
  • sopra i 50 mila euro annui si porta a casa circa 440 euro annui
  • stesso guadagno per chi denuncia redditi da 200 o 500 mila euro annui
  •  i redditi tra i 32 mila e 45 mila euro subiscono un aumento di tasse dovuto all’inflazione con il taglio Irpef che non compensa queste perdite. Sarebbe stato sufficiente invece adeguare i redditi e le tasse alla inflazione e al costo della vita per ricavare reali benefici ma tutta la manovra elude questi dati tanto che sottoscrivono aumenti contrattuali con perdita di quasi il 12 per cento del potere di acquisto
  • E si scoprono le poche aliquote fiscali, in Italia l’aliquota massima del 43 per cento parte dai 50 mila euro di reddito all’anno quando invece servirebbero diversi scaloni sopra questa cifra. Ma una proposta del genere significherebbe tassare i ricchi ed è quanto la Meloni e il suo governo non intendono fare.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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