No al “welfare” aziendale, sì al salario e allo stato sociale universale!

Il “welfare aziendale” viene venduto come un vantaggio esentasse, ma in realtà scambia salario e diritti universali con servizi privati gestiti da imprese e sindacati concertativi. Così si indeboliscono stato sociale, sanità pubblica e previdenza, mentre aumenta il potere degli enti bilaterali e dei privati.

In molti enti pubblici e nella sanità è stato proposto ai lavoratori di spostare una fetta di salario accessorio in “welfare”. Quindi, invece di investire risorse per dare ampio spazio agli istituti contrattuali e al salario accessorio di tutti i dipendenti, invece di sottoscrivere solo accordi con pieno recupero del potere di acquisto perduto, si elargisce questo “benefit” da spendere ove decideranno per noi.

Ma chi deciderà al posto nostro? I datori di lavoro concertando con i sindacati firmatari di contratto perché è proprio il contratto nazionale a sancire questo scambio diseguale. Quando ascoltiamo dalla voce di esponenti Cgil che la priorità assoluta è la difesa del CCNL ricordiamo quanto sia invece possibile indebolire un accordo nazionale utilizzando regole da loro stessi avallate. In che modo? Un contratto è in teoria valido erga omnes, è possibile tuttavia svuotarne le prerogative prevedendo il sistema delle deroghe, rinviando alla contrattazione di secondo livello per accrescere le prestazioni in straordinario o lasciando che l’importo di alcuni istituti venga deciso a livello aziendale secondo criteri ben poco oggettivi.

È poi possibile sottoscrivere accordi di incremento della produttività, con grande detassazione, con fin troppe concessioni alla parte datoriale o con lo scambio diseguale tra aumenti con prestazioni in beni e servizi. Gran parte della forza lavoro è ormai incapace di cogliere il problema (il welfare aziendale ha disinnescato molte vertenze contrattuali) dopo anni di lenta assuefazione al welfare aziendale, partiamo allora da una semplice domanda alla quale rispondere: cosa intendiamo per welfare aziendale?

Parliamo di un insieme di servizi offerti dalle aziende ai loro dipendenti, non è costituito da aumenti salariali ma da benefit che potranno tradursi in buoni spesa, buoni carburante o servizi (es. assistenza sanitaria, agevolazioni per lo sport e il tempo libero). L’adesione a questi piani comporta significativi vantaggi fiscali per l’azienda.

Il welfare aziendale viene, nel privato, previsto dal contratto nazionale e da accordi di secondo livello e ora sta facendo capolino anche nella Pubblica amministrazione, i prossimi contratti saranno decisivi a tale riguardo.

Questa operazione, sponsorizzata dai sindacati confederali, appare vantaggiosa “perché è esentasse”, ma in realtà nasconde insidie ben più gravi per il futuro dei nostri diritti e del nostro stesso salario. Ma proviamo a sintetizzare il nostro ragionamento con alcune domande

Chi ci guadagna e chi ci perde?

Dietro misure che sembrano migliorare le nostre condizioni materiali (benefit, assistenza sanitaria integrativa, ecc.) si cela una logica perversa, già ben nota e sperimentata nel settore privato:

Perdita di salario: le quote di welfare vengono progressivamente sottratte dal salario aziendale e, in prospettiva, rischiano di assorbire in buona parte gli stessi aumenti contrattuali (cosa già avvenuto in tanti settori del privato), barattando gli aumenti salariali in servizi e beni non monetari. Alla fine, si favorisce il progressivo smantellamento dello stato sociale universale a favore di prestazioni erogate da soggetti privati, prime tra tutte la sanità privata. È paradossale asserire di volere difendere la sanità pubblica quando nei luoghi di lavoro si firmano accordi che incrementano la presenza, e il ricorso, alla sanità privata sotto forma di servizi integrativi. E la prossima Legge di Bilancio del Governo ha capito questa contraddizione e la sfrutta pro domo sua aumentando le risorse destinate alla sanità privata.

Siamo inerti spettatori nella perdita di diritti? Si, il welfare aziendale non influisce su istituti contrattuali e non permette la maturazione di contributi pensionistici ma in fondo pensiamo sia conveniente perché permette di accedere a servizi a basso costo. È un baratto? Nei fatti sì, meno salario in cambio di servizi come, ad esempio, la sanità privata che avrà ampio margine per decidere poi quali tariffe applicare alle migliaia di nuovi utenti. E questo baratto arriva dopo anni di tagli e revisioni di spesa che hanno fortemente indebolito il Servizio Sanitario Nazionale

Escono sconfitti i cittadini? L’introduzione e la diffusione del welfare aziendale spinge lo Stato a destinare meno fondi alla sanità, all’istruzione e allo stato sociale universale. Le tutele diventeranno “aziendali”, individuali e non più universali.

Da questa situazione qualcuno trae guadagni? Indubbiamente i soggetti privati e in parte i sindacati confederali, infatti sovente i pacchetti di welfare aziendale sono gestiti dagli enti bilaterali, composti pariteticamente dalle associazioni padronali e dai sindacati confederali. La partecipazione e la cogestione del welfare in questi enti costituiscono un vero e proprio conflitto di interesse, oltre a un vantaggio economico che sarebbe opportuno conoscere nei minimi dettagli.

Quali sono allora le proposte alternative al welfare aziendale? Sono difficili da attuare senza una profonda revisione del sistema di contrattazione ma prima o poi dovremo prendere atto che le attuali regole sono quelle che hanno ingabbiato la conflittualità nei luoghi di lavoro. E quindi? No al welfare decentrato, lotta per il salario per un salario dignitoso che influisca su tutti gli istituti contrattuali e contributivi. E insieme a dei meccanismi automatici che adeguino i salari al potere di acquisto urge rilanciare la difesa dello stato sociale partendo proprio da previdenza pubblica e Servizio Sanitario Nazionale.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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