Salvador Allende e la memoria di Cinisello Balsamo nel frullatore dei seguaci di “Erodoto Sechi”.

Antefatto
Lunedì 20 ottobre il consiglio comunale di Cinisello Balsamo, 75.000 abitanti nella città metropolitana di Milano, ha registrato un pienone.
Si doveva votare la proposta di cambiare nome al locale Palazzetto dello Sport, da Salvador Allende a Giorgio Armani.
Dopo ruffianesche minacce – “alla sindaco ternano” – da parte di alcuni consiglieri di destra nei confronti del pubblico, la decisione è stata rimandata al 23 ottobre.
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La proposta, illustrata da Maurizio Colosimo, capogruppo di Fratelli d’Italia (FdI), ha ragioni precise: “Allende era un socialista che ha portato il Cile ad una grave crisi economica”.
Visto l’origine dell’accusa e l’andazzo dei tempi, non c’è nulla di sorprendente. Aggiungo, per evitare equivoci, che sul nome di Giorgio Armani, nulla ho da obbiettare e, sono altresì convinto, a Salvador Allende, grande e noto amante della bellezza e della sapienza, non sarebbe dispiaciuto l’accostamento, ovviamente strumentale, dei due nomi.
Tuttavia, sempre per evitare equivoci, constato che gli amanti della bruttezza e della disarmonia, dei corni medievali e dell’ignoranza, sfruttano senza ritegno la morte di un grande stilista per contrapporlo a quello di un grande statista.
Lo si può capire: si liberano, provvisoriamente, delle loro mosche e cimici asiatiche, inevitabilmente attratte dalla diffusione di massa della dissenteria, detta anche “la vendetta di Montezuma”.
Ovviamente, “la merda è buona”. Miliardi di mosche e cimici asiatiche loro affezionate, non possono sbagliarsi.
Gli argomenti dei fratellini
Sulla crisi economica cilena ai tempi di Allende non si può che convenire col sig. Colosimo. Era in atto una severissima crisi.
Tuttavia, c’è molto da dire sulle sue cause ma, se supponiamo per un attimo che effettivamente la causa fosse l’inettitudine del governo in carica, si porrebbe comunque una domanda:
se un Paese qualsiasi è immerso in una crisi economica, ciò fa diventare legittimi un golpe militare, il bombardamento del palazzo di governo, l’assassinio di migliaia di oppositori, la creazione di decine di campi di concentramento e fosse comuni, la scomparsa di migliaia di persone, l’esportazione degli attentati contro gli oppositori, da Roma a Washington, la costrizione all’esilio di milioni di persone, lo spettacolo quotidiano di cadaveri sui fiumi cittadini, la diffusione della tortura all’ingrosso in ogni dove, l’imposizione – durata quasi un ventennio – di una dittatura definita universalmente “feroce”…?
A chi dà una risposta positiva, “tutto ciò è giustificato”, nulla ho da dire.
Ma, se la risposta è negativa, dico che ci si può convivere nelle differenze, anche perché ciò esclude l’ipotesi che tutto ciò dovrebbe, quantomeno potrebbe, essere successo o succedere in una Europa che attraversa una conclamata crisi economica da almeno un ventennio.
Credo che possiamo convenire: sarebbe molto triste dover compatire “la povera Francia”, “la derelitta Inghilterra”, “la misera Germania”, se fossero governate, rispettivamente, dal “Brigadiere Savary”, dal “Gottoso generale Churchiĺling” e dal “Maresciallo von Bismarken”.
Tuttavia, posso ammettere che marescialli, brigadieri e generali, oltre a diffondere il passo dell’oca, porterebbero altri “vantaggi”. Ad esempio:
– la guerra tanto agognata oggi da buona parte della classe dirigente europea potrebbe diventare concreta. Basta non disturbare i manovratori;
– Volkswagen, British Leyland, Renault, Stellantis e Peugeot, darebbero libero sfogo ai loro think thank, ivi comprese le catene di montaggio “Volpe dell’Artico” e “Lupi baltici”;
– a Monza potremmo goderci un gran bel Premio di F1 tra scuderie di cingolati. Sarebbe l’occasione perché la Ferrari rinverdisca il suo ormai appassito albo d’oro, ma dovrebbe fare i conti con la Citroën che, figlia di un trafficante d’armi, dovrebbe intendersene di autoblindo;
– a Varese e Busto Arsizio una combriccola di ex comunisti diretta dagli illustri Violante e Minniti, potrebbe aggiungere all’accordo siglato con la Boeing per addestrare gli elicotteristi della Nato, la trasformazione di un pezzo della Leonardo in hub dei panzer di lunga gittata.
La sede a Tripoli garantisce disponibilità di manovalanza a buon mercato.
“Piccoli interventi esterni”
Devo porre una seconda domanda, più “tecnica”, al capogruppo cinisellesco dei FdI: Secondo lei, se tutti i camionisti italiani chiudessero ogni ingresso a Milano e Roma durante un mese, ci sarebbe qualche ripercussione economica a Cinisello? Si spezzerebbe qualche catena produttiva e/o di approvvigionamento? Scomparirebbe qualche bene di prima necessità?
A Santiago, dopo una serrata dei padroncini che fermò ogni trasporto di merci e di passeggeri durante tutto l’ottobre 1972, saltò ogni automatismo, comparve il mercato nero e si moltiplicarono interminabili code per la benzina. Insomma, si scatenò la crisi.
A qualcuno può sembrare una roba da Terzo Mondo ma, a Parigi, ottobre 2022, bastarono 48 ore di sciopero dei lavoratori delle raffinerie per bloccare i rifornimenti di carburante, ritardare le consegne di prodotti alimentari ed altri beni di prima necessità, provocare penurie di prodotti freschi nei supermercati. Scrive Wikipedia: “Dopo due giorni, i parigini hanno affrontato lunghe attese ai distributori, accaparramento di carburante con taniche e risse tra automobilisti esasperati”.
Sembra il Cile di 50 anni prima ma, a Santiago, dopo 30 giorni ci eravamo organizzati e le comunità territoriali s’incaricavano della distribuzione dei beni di prima necessità.
In quella città, che aveva allora oltre 3 milioni di abitanti, con poco cibo e senza mezzi di trasporto l’assenteismo al lavoro diminuì.
Forse, anzi, probabilmente, la pellaccia di chi s’imbarca in un progetto di trasformazione della vita, s’indurisce.
Nessun merito né eroismo, solo necessità.
Ma Cinisello è un’altra cosa. Né Parigi, né Santiago.
Accertate le conoscenze acquisite nella culla, quindi spontanee e immani, presumo che il “fratellone” Colosimo ci risponderebbe che la domanda è manifestamente assurda: nessun padroncino o autista di Cinisello sopravviverebbe un mese senza entrate economiche. E vivere d’aria, direbbe il ministro degli esteri, “è roba sovietica”.
Il signor Colosimo ha perfettamente ragione. Il ministro un po’ meno. I due dimenticano la forza dei sogni. Il ministro anche geografia e temporalità.
Quindi, bisogna spedire alla sede comunale di Cinisello (e alla Farnesina), i documenti ufficiali, desegretati dal governo degli Stati Uniti – purtroppo 50 anni dopo i fatti – in cui si dimostra, anche coi relativi elenchi di nomi perché la contabilità è cosa seria, che tutti i padroncini e autisti cileni furono regolarmente pagati dalla CIA durante l’intero mese di sciopero/serrata (o di serrata/sciopero?).
Pagati profumatamente.
Suggerisco inviare i documenti in dialetto brianzolo al Comune. L’italiano, afferma chi la conosce, è una lingua complicata.
Come tutte le lingue neolatine, aggiungo.
La resilienza di lor signori
Non si può negare: il signor Colosimo ed i suoi sono tenaci quanto i loro compari leghisti.
Ricordo quando questi ultimi, dopo prendersi il comune di Milano con Mauro Formentini nel 1993, modificarono la toponomastica di un piccolo e romantico quartiere milanese, con nomi astrusi e gutturali: Johann Sebastian Bach, Wolfang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, Claude Debussy, Johannes Brahms e compagnia cantante…
Di certo è meno armonico ma probabilmente più facile (ed ergonomico), risiedere in Via Enzo Ghinazzi detto Pupo, passeggiare – con le mutande coperte – sul Corso Gabriele Albertini, perdersi nel vicolo Al Bano Carrisi, sedersi in una panchina di Piazza Lando Buzzanca, vendere aranciata e patatine sul laghetto Daniela Santanchè, scorreggiare in libertà sul Largo Giorgio Almirante…
Per fortuna sono sempre esistiti gli ostinati.
Visitando il Museo del Risorgimento a Milano, ho verificato che Garibaldi era talmente repubblicano e socialista – nonché massone – da partire armi in mano a difendere la Francia dopo la disfatta di Sedan.
Scrive il garibaldino genovese Luigi Canessa:
“Gli avvenimenti del 1870-71 sono sufficientemente noti. Sconfitto e preso prigionero a Sedan Napoleone III e proclamata in Francia la Repubblica, il nuovo governo chiese a Bismark un armistizio. Ma di fronte alle pesanti condizioni poste dai Prussiani, ai Francesi non restò che la continuazione della guerra. Alla Francia andavano le simpatie di tutti i democratici europei e da tutta Europa partivano volontari per contribuire alla sua difesa. Garibaldi si mise a disposizione del governo francese e il 7 ottobre sbarcò a Marsiglia ricevuto con un’accoglienza entusiasta della popolazione, acclamato come il salvatore della Francia dalla disfatta e dall’occupazione prussiana. Poco dopo iniziò la costituzione di quella che sarebbe stata chiamata Armée des Vosges” (citato da Agostino Pendola in “Pensiero mazziniano” 3, 2006).
Nato nel 1807, nel 1870 Garibaldi riusciva a malapena a montare sul suo cavallo senza essere assistito e, purtroppo Marsala, la cavalla che l’accompagnò durante tutta la campagna nel Regno delle Due Sicilie, non c’era.
Per fortuna, nemmeno allora mancavano soggetti disponibili a prestare persino le proprie spalle agli eroi (e ai buffoni).
Il guaio con Garibaldi non è tanto che, per scambiare l’eroe dei due mondi con qualche Silvio bisognerebbe cambiare il nome di almeno una piazza e di una via pressoché in ogni città italiana.
Il vero guaio è che il buon Giuseppe puntava sempre la sua spada verso Roma (“Roma o morte”) e per farla puntarla verso Cinisello bisognerebbe girare tutte le statue.
Il resto è normale amministrazione e tecnica comunicativa.
Garibaldi non somigliava alla graziosa e intrepida leader dei nostri Fratelloni?
Nessun problema. Basterà raderne la barba con uno scalpello, toglierli il capellino con un maglietto, trasformare il poncho in una veste griffata, et voilà.
Il resto è solo fantasia, che ai fratellini non manca: gestiscono un Paese che non cresce, con la sanità e la scuola a pezzi, i salari e le pensioni fermi da 30 anni (loro hanno contribuito con 7 punti in 3 anni), quasi 6 milioni di persone e un bambino ogni cinque vive in povertà ma, “se il paese va, lascialo andare”. Va, cioè, benissimo.
Il caro amico Trump ha detto che la nostra leader “era presente al Cairo solo perché ha fatto di tutto per essere presente al Cairo”? RAI e le sue allegre comari ristabiliranno la giusta interpretazione: Paperino intendeva dire che gli Stati Uniti e l’Italia sono i due pilastri dell’Occidente.
Eccetera.
Il modello sembra essere quello del francese Ray Ventura che, negli anni “del suo ventennio”, “del suo maresciallo Pétain”, “della sua repubblichetta di Vichy”, gagliardamente cantava: “Tout ça va bien madame la marquise. Tout va très bien”.
Ci sarebbe solo da rivedere un dettaglio: Ray Ventura et ses collégiens erano ritmici, intonati e persino divertenti, i periferici proseliti dello storico Sechi, “mattasette” che ormai lampeggia a “RAI Storie” facendo imprese, propongono un avanspettacolo monotono, stonato, noioso, pessimo.
Avviene non solo a Cinisello Balsamo.
La sera in cui Via XXV Aprile si riempì di luci e di suoni
La sera del 12 novembre 1973 il Palazzetto dello Sport di Cinisello Balsamo era pieno all’inverosimile.
Le cronache dicono che “c’erano ben tremila persone, eccitate ma disciplinate”.
Una lapide commemorativa all’interno ricorda l’avvenimento:
“A SALVADOR ALLENDE
LA CITTA’ DI CINISELLO BALSAMO INTITOLA QUESTO PALAZZO DELLO SPORT IL I2.11.73″
Lo svelamento della lapide commemorativa diede inizio alla più importante manifestazione tenutasi al Palazzetto dello Sport: un concerto dell’orchestra del Teatro alla Scala.
Vale la pena spenderne alcune righe.
Tra il 1963 e il 1967 l’impresario teatrale Paolo Grassi riuscì ad impegnare un gruppo di allievi del “Piccolo Teatro” e alcuni registi ad allestire spettacoli itineranti distribuiti nei circoli cooperativi della provincia dall’allora dirigente del Centro di Cultura Operaia dell’Umanitaria e futuro sindaco di Cinisello, Enea Cerquetti.
Il tema decentramento della cultura fu ripreso ampiamente negli anni 1968-1969.
Divenuto sovrintendente del Teatro alla Scala, Grassi volle ripetere quella esperienza coinvolgendo il pianista Maurizio Pollini.
Alla fine del 1972, d’accordo con i sindacati si svolsero presso il Teatro alla Scala serate riservate ai lavoratori, con biglietti venduti a prezzi ridotti presso le sedi sindacali.
Il primo spettacolo fu “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi.
Il sindaco Enea Cerquetti ricordò allora a Grassi gli accordi sulla necessità del decentramento e ricerca di un nuovo pubblico, proponendogli di organizzare a Cinisello Balsamo un concerto con un’orchestra di grandi esecutori da tenersi al Palazzetto dello Sport ribattezzato Salvador Allende.
Grassi accettò e predispose un giro di decentramento concordato col direttore del Teatro, Claudio Abbado, e il pianista Maurizio Pollini.
Quindi, Cinisello Balsamo diventò il luogo emblematico per la serata di apertura del nuovo corso, seguito da un giro musicale che coinvolse Sesto San Giovanni, Mantova, Lecco, Pavia e Varese.
La data convenuta, il 12 novembre 1973, il Palazzetto era pieno come un uovo.
Prima del concerto si tenne una cerimonia durante la quale fu svelata la lapide commemorativa alla memoria di Salvador Allende a cui fu intitolato il Palazzetto dello Sport.
A sua richiesta, la lapide fu scoperta dal maestro Claudio Abbado.
Gli orchestrali, molto interessati alla novità dei concerti itineranti e al significato politico della manifestazione, si chiesero pubblicamente se sarebbe stato meglio suonare in frac oppure in tenuta da prove. Alla fine, si arrivò all’accordo che per loro il frac era un’uniforme, simile alla tuta per gli operai.
Nel primo tempo Maurizio Pollini eseguì la parte pianistica del Primo Concerto di Brahms.
Nel secondo, Claudio Abbado diresse la Terza Sinfonia di Beethoven.
Congedandosi, il Maestro lodò il Comune per l’acustica e l’organizzazione.
L’eco sui giornali fu enorme.
La spesa del Comune ammontò a 25 milioni di lire.
Maurizio Pollini
Il nome Pollini mi suscita una bufera di ricordi.
Nel dicembre 1972, Pollini era stato cacciato a furor di pelliccia dalla Scala dopo aver cercato di far precedere la sua esibizione da una dichiarazione di solidarietà con la lotta del popolo vietnamita e contro i bombardamenti statunitensi.
“L’Unità” fu la sola testata a parlare della ‘responsabilità dell’artista’, ‘uno dei pianisti più importanti del mondo’, che ‘rifiuta il ruolo di musicista-giullare’.
Non era la prima volta che Pollini scandalizzava le signore in pelliccia: il 9 gennaio 1972, nella fabbrica grafica Paragon di Genova occupata da 72 giorni dagli operai, diretto da Bruno Martinotti aveva eseguito “L’Imperatore” di Beethoven e “La fabbrica illuminata” di Luigi Nono.
E cioè, il più classico dei classici, “La Musica” della memoria collettiva, insieme ad una composizione moderna, con un soprano che cantava poesie di Cesare Pavese e testi di Giuliano Scabia intrecciati ai suoni emessi da un registratore a quattro piste: rumori industriali, voci di operai, lacerazioni sonore dello spazio.
Clicca qui per il concerto alla Paragon
Nel 1974, qualche mese dopo essere sbarcato a Milano e ormai esule patentato, andai a ascoltare “Come una onda di forza e luce”, un brano del compositore Luigi Nono, per soprano, piano, orchestra e nastri. Al piano c’era Maurizio Pollini. Dirigeva Claudio Abbado.
Era una composizione politica e musicale che esprimeva il lutto per l’assassinio del dirigente del MIR cileno Luciano Cruz.
Pollini e Abbado dedicarono il concerto “al presidente Salvador Allende”.
Poi, nei bis suonarono Chopin e Beethoven. A me venne in mente che non esistevano i generi musicali ma musica bella e musica brutta, strimpellatori scordati e bravi musicisti.
Continuo a pensarlo, e non solo per la musica.
Claudio Abbado ed i suoi amori, giovanili e maturi
Quella sera Abbado raccontò che, da ragazzo, era finito in gattabuia “per attività sovversive”.
Non avevo una grande dimestichezza con la politica, disse. Mi presero mentre scrivevo un graffito sii muri vicini al Conservatorio Giuseppe Verdi.
Avevo scritto “Viva Bela Bartok”. I poliziotti fascisti pensarono che, con quel nome, fosse certamente un capo bolscevico.
Non so quale dimestichezza con la politica abbia raggiunto dopo.
So solo che Abbado è stato fondamentale per l’Orchestra Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela, chiave maestra del progetto sociale “El Sistema” fondato dal maestro José Antonio Abreu.
La sua collaborazione ha incluso la direzione gratuita dell’orchestra in concerti, come nel 2010 a Lucerna, e il sostegno all’iniziativa che offriva educazione musicale a giovani musicisti.
Abbado iniziò a collaborare con l’orchestra nel 2005, e continuo fino al 2014, anno della sua scomparsa.
L’Orchestra Sinfonica Simón Bolívar, fiore all’occhiello del sistema educativo musicale venezuelano, ha offerto l’opportunità di fare musica a centinaia di migliaia di giovani.
Nel 2010, a Lucerna, Abbado ha diretto un concerto memorabile con brani di Prokofiev, Berg e Tchaikovsky.
Il suo successore, Gustavo Dudamel, tra i musicisti cresciuti in “El Sistema”, parla a lungo con entusiasmo e amore di Abbado, che invitò più volte a dirigere l’orchestra in Venezuela.
“Alma llanera”, interpretata dalla Orchestra sinfonica giovanile Simón Bolívar
Ecco l’ambiente ed i protagonisti di quella fredda serata del novembre ’73 quando il Palazzetto dello Sport di Cinisello diventò il Palazzetto Salvador Allende.
Mi auguro che gli eredi di Giorgio Armani abbiano il buon senso di non prestarsi al gioco sporco di Colosimo snd friends.
Comunque, e di questo sono certo, la gente comune continuerà a chiamare il Palazzetto come storia comanda:
PALAZZETTO SALVADOR ALLENDE
QUELLO DI ABBADO, DI GRASSI, DI POLLINI, DELLA ORCHESTRA DELLA SCALA, DEI RICORDI E DELLA STORIA,
QUELLA TUA, MIA, NOSTRA.
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