I riconoscimenti dello stato di Palestina

La svolta di parte dell’Occidente e i limiti concreti nella sua realizzazione. Un lavoro di Giovanni Rota per il Corso di Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali dell’IIS Galilei-Pacinotti di Pisa.

All’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi come ogni anno fine settembre a New York, si è consumato un passaggio che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile: in rapida successione Francia, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno annunciato il riconoscimento formale dello Stato di Palestina. Seguiti nei giorni successivi da altri Paesi occidentali, tra cui il Belgio e la Nuova Zelanda. Con questa nuova ondata, il numero complessivo degli Stati membri ONU che riconoscono la Palestina è salito a 157 su 193[1] (carta 1).

Per la prima volta, anche parte del blocco occidentale si è unito a un processo che finora era stato portato avanti soprattutto da Paesi arabi, africani, asiatici e latinoamericani.

Subito dopo il riconoscimento dell’Onu nel 2012, in Europa la Svezia era stata la pioniera nel 2014. Negli ultimi due anni, si sono aggiunti Spagna, Norvegia, Irlanda, Slovenia e altri piccoli Stati europei.

Carta 1: i 157 paesi che ad oggi riconoscono lo stato di Palestina

Dalla dichiarazione di Indipendenza del 1988 al riconoscimento ONU del 2012

Il riconoscimento internazionale della Palestina ha radici storiche quasi quarantennali.

Il 15 novembre 1988, durante la Prima Intifada, il Consiglio Nazionale Palestinese dall’esilio di Algeri proclamò lo Stato di Palestina. La dichiarazione, redatta dal poeta Mahmoud Darwish e letta da Yasser Arafat, rivendicava come territori appartenenti allo stato di Palestina la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est.

La risposta internazionale fu immediata: entro la fine del 1988, 78 Paesi avevano già espresso il loro riconoscimento e a febbraio 1989 erano diventati oltre 90.

Nel 2012, con la Risoluzione 67/19, l’Assemblea Generale dell’ONU concesse alla Palestina lo status di “Stato osservatore non membro”, lo stesso della Santa Sede.

La nuova spinta occidentale

Il recente cambio di passo dell’Occidente non è solo una questione diplomatica: per molti analisti, si tratta di un modo per isolare il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu in reazione alle violenze in corso a Gaza.

La Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, nel suo rapporto del 16 settembre 2025, ha infatti confermato che Israele sta commettendo un genocidio contro la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza, in violazione della Convenzione sul genocidio del 1948[2].

Il documento elenca quattro dei cinque atti costitutivi del crimine: uccisioni, gravi danni fisici e mentali, condizioni di vita imposte con l’obiettivo di distruggere la popolazione e misure per prevenire nascite all’interno del gruppo[3].

Israele ha reagito con durezza, richiamando ambasciatori e minacciando l’annessione della Cisgiordania, territorio già occupato illegalmente dal 1967 e oggetto da decenni di un processo di colonizzazione attraverso la costruzione di insediamenti.

Il nodo delle colonie

Secondo i dati delle Nazioni Unite e di diverse ONG, ad oggi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est vivono circa 700.000 coloni israeliani. Negli ultimi cinque anni, le approvazioni di nuovi insediamenti da parte del governo Netanyahu, il più a destra della storia del paese, sono aumentate di circa il 180%.

Secondo l’organizzazione Oxfam, oltre il 42% del territorio cisgiordano è occupato dagli insediamenti israeliani, rendendo inaccessibili intere aree alla popolazione palestinese[4].

È proprio questo il principale ostacolo alla creazione di uno Stato palestinese effettivo: smantellare o congelare gli insediamenti appare politicamente impraticabile per il governo israeliano attuale e senza questa condizione la prospettiva di due Stati resta irrealizzabile.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina assume quindi, almeno per ora, i connotati di un atto simbolico. Tuttavia, ha un forte peso politico, perché rafforza la legittimità palestinese sulla scena internazionale e aumenta la pressione su Israele, purtroppo non modificando la realtà sul terreno.

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, infatti, qualsiasi tentativo di far entrare la Palestina come Stato membro a pieno titolo si scontra con il veto degli Stati Uniti, storico alleato di Israele. Senza misure concrete contro l’espansione delle colonie o garanzie di accesso al territorio, il riconoscimento rischia di restare una dichiarazione di principio (carta 2).

Carta 2 : Cisgiordania, Area A in verde sotto formale controllo dell’Anp

L’Italia e l’Europa

L’Italia, insieme a Germania, Olanda, Austria e Grecia, non ha ancora riconosciuto la Palestina. Roma ha però votato a favore di una risoluzione ONU, presentata da Francia e Arabia Saudita nel luglio 2025, che propone un piano in 42 punti per rilanciare la soluzione dei due Stati, subordinando però ogni passo al cessate il fuoco a Gaza. L’Alto rappresentante UE per gli affari esteri, Kaja Kallas, ha ribadito: “Se parliamo di soluzione a due Stati, allora devono esserci due Stati”.

Tuttavia, è ormai convinzione diffusa che il fossilizzarsi sul continuare a riproporre tale soluzione negoziale risalente agli Accordi di Oslo del 1973, da sempre demonizzata dai governi israeliani succeduti a quello guidato da Rabin che li sottoscrisse con Arafat, costituisce un fallace paravento al quale non credono più nemmeno chi la invoca.

Per quanto ci riguarda credo che solo che solo la pressione politica interna dal basso esercitata dalle centinaia di migliaia di cittadini che sono scesi in piazza la settimana scorsa dopo l’aggressione alla Global Sumud Flottilla potrebbe costringere il governo italiano a rivedere questa ipocrita posizione.

Conclusione

Dalla dichiarazione di Indipendenza del 1988 all’attuale ondata di riconoscimenti, la Palestina ha guadagnato una crescente legittimità internazionale tant’è che oggi circa l’80% dei Paesi membri ONU la riconosce formalmente (carta 1). Tuttavia, la realtà rimane segnata da occupazione, insediamenti colonici, aggressione militare e un genocidio riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Il riconoscimento, da solo, non basta: senza un cambiamento concreto della realtà sul terreno, vale a dire l’occupazione militare e la colonizzazione (carta 3), rimane soprattutto un gesto politico formale, utile a isolare Israele, ma insufficiente a garantire uno Stato palestinese autonomo e sovrano.

Carta 3: colonie, Check Point e muro di annessione israeliani in Cisgiordania

Giovanni Rota
8 ottobre 2025
Attività del Corso di Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali dell’IIS Galilei-Pacinotti di Pisa


NOTE

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Riconoscimento_internazionale_dello_Stato_di_Palestina

[2] https://unipd-centrodirittiumani.it/it/temi/commissione-internazionale-indipendente-delle-nazioni-unite-per-linchiesta-sui-territori-palestinesi-occupati-un-nuovo-rapporto-sostiene-che-israele-abbia-commesso-genocidio

[3] ONU e Al Jazeera.

[4] https://www.oxfamitalia.org/stop-al-commercio-con-gli-insediamenti-illegali-in-cisgiordania/

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About Andrea Vento

Andrea Vento, docente di geografia economica presso l’Istituto Tecnico Commerciale «Antonio Pacinotti» di Pisa, si è laureato nel 1988 presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pisa con corso di laurea in geografia e tesi in geografia economica. Appassionato di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare predilezione per il Medio Oriente e l’America latina, ha focalizzato le proprie ricerche e la propria attività sull’analisi di specifiche tematiche di carattere geoeconomico e geopolitico. Al centro del suo lavoro vi è il tentativo di ampliare - tramite scritti e conferenze - la conoscenza di particolari sfere economico-geografiche del mondo attuale. Nel 2013 - assieme ad alcuni colleghi - ha fondato il GIGA (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati).

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