Giulio Chinappi: “Risposte regionali e internazionali al terrorismo di Stato israeliano contro Iran, Gaza e Libano”

Intervento di Giulio Chinappi alla Conferenza internazionale sul terrorismo di Stato israeliano, disponibile in italiano, inglese e persiano.

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Risposte regionali e internazionali al terrorismo di Stato israeliano contro Iran, Gaza e Libano

Buongiorno,

mi chiamo Giulio Chinappi, sono un analista politico e autore del World Politics Blog. È per me un onore e una solenne responsabilità intervenire oggi sul tema delle risposte regionali e internazionali al terrorismo di Stato israeliano — in particolare sulle posizioni dei governi occidentali e arabi, nonché delle organizzazioni internazionali, riguardo alle aggressioni israeliane contro l’Iran, Gaza e il Libano.

Il terrorismo di Stato israeliano non è un concetto astratto. Si manifesta in azioni concrete e ripetute: assassinii mirati, bombardamenti indiscriminati di aree civili, distruzione di infrastrutture essenziali e uso sistematico dell’assedio e del blocco per punire collettivamente intere popolazioni. Sia che si tratti dei bombardamenti su Gaza, dell’eliminazione mirata di scienziati e funzionari militari iraniani, o delle ripetute violazioni della sovranità libanese, Israele ha mostrato un modello di comportamento coerente nella sfida al diritto internazionale. Altrettanto significativo — e profondamente allarmante — è il riscontro disomogeneo e spesso ipocrita da parte della comunità internazionale.

Risposte occidentali

I governi delle cosiddette democrazie occidentali sono, per decenni, stati complici — direttamente o indirettamente — nel permettere l’aggressione israeliana. Questa complicità assume molte forme: copertura diplomatica alle Nazioni Unite, veto alle risoluzioni che cercano di ritenere Israele responsabile, e la continua fornitura di armi e tecnologie militari nonostante le schiaccianti prove di crimini di guerra. Gli Stati Uniti, l’alleato più saldo di Israele, hanno ripetutamente fatto uso del diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per proteggere Tel Aviv da sanzioni vincolanti o indagini internazionali. Questa protezione politica è accompagnata da miliardi di dollari di aiuti militari annuali, sovvenzionando di fatto gli atti di aggressione che Washington altrove dichiara di condannare.

Anche le potenze europee hanno in gran parte fallito nel rompere con questa politica di indulgenza. Sebbene alcuni governi europei abbiano talvolta emesso dure censure verbali — soprattutto in occasione di episodi con vittime civili di massa a Gaza — queste condanne raramente sono state seguite da misure concrete. Le esportazioni di armi proseguono, le relazioni commerciali rimangono inalterate e, in alcuni casi, la cooperazione in materia di sicurezza si è persino intensificata dopo offensive israeliane.

Un aspetto particolarmente rivelatore di questo doppio standard è stato il riconoscimento tardivo e prudente dello Stato di Palestina da parte di alcuni governi occidentali. Mentre Paesi come la Svezia hanno riconosciuto la Palestina nel 2014, altri — come Irlanda, Spagna e Norvegia — hanno compiuto tale passo solo molti anni dopo, spesso sotto la forte pressione dell’opinione pubblica a seguito di assalti particolarmente gravi contro Gaza. Anche in quei casi, tali riconoscimenti sono stati frequentemente simbolici, non accompagnati da cambiamenti politici sostanziali, sanzioni o sospensioni della cooperazione militare con Israele. Questa riluttanza ad agire con decisione, e il fatto che il riconoscimento sia avvenuto decenni dopo la dichiarazione di indipendenza della Palestina del 1988 e la relativa presa d’atto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dicono molto sull’inclinazione dell’Occidente a evitare di affrontare le radici strutturali del conflitto.

Il contrasto è netto se si considera quanto rapidamente le stesse capitali occidentali abbiano riconosciuto nuovi Stati altrove quando ciò serviva ai loro interessi geopolitici. Il ritardo nel riconoscere la Palestina — anche solo a livello diplomatico — è emblematico di un approccio occidentale che privilegia la supremazia politica e militare di Israele rispetto ai diritti legittimi del popolo palestinese.

Risposte all’aggressione contro l’Iran

Le posizioni occidentali sull’aggressione israeliana contro l’Iran seguono un modello altrettanto fazioso. I ripetuti atti di sabotaggio, gli assassinii mirati e gli attacchi informatici israeliani alle infrastrutture iraniane non sono stati generalmente condannati; spesso hanno ricevuto un tacito assenso o elogi appena velati. Tali azioni vengono giustificate con il pretesto della “difesa” o della “non proliferazione”, nonostante siano compiute sul territorio di uno Stato sovrano e in palese violazione delle norme internazionali.

La narrazione occidentale tende a dipingere l’Iran come la principale minaccia regionale, ignorando o minimizzando il ruolo di Israele nell’escalation delle tensioni. Gli Stati Uniti e diversi alleati europei hanno persino integrato l’intelligence israeliana in operazioni congiunte mirate all’Iran. Questa indignazione selettiva non passa inosservata nel Sud globale, che sempre più considera il discorso occidentale sull’“ordine internazionale basato sulle regole” profondamente ipocrita.

Risposte all’aggressione contro Gaza

Nel caso di Gaza, le risposte occidentali sono ancor più rivelatrici. La Striscia di Gaza — una delle aree più densamente popolate al mondo — è sottoposta a un blocco da oltre quindici anni, con conseguenze che le Nazioni Unite hanno descritto come una catastrofe umanitaria. Le offensive militari israeliane periodiche, come quelle del 2008–09, del 2014 e successive, hanno causato migliaia di vittime palestinesi, per lo più civili, inclusi numerosi bambini.

Eppure, i governi occidentali rispondono tipicamente ai bombardamenti israeliani con dichiarazioni che “riconoscono il diritto di Israele all’autodifesa”, offrendo al più un linguaggio misurato che invoca la “moderazione” o la “de-escalation”. Raramente questi governi contestualizzano la situazione: che Gaza è soggetta a un assedio illegale, che la sua popolazione è in larga parte composta da rifugiati e che la violenza è in netta asimmetria.

Solo nei momenti di estrema indignazione pubblica, quando immagini di massacri o di ospedali distrutti diventano impossibili da ignorare, alcuni leader occidentali emettono critiche più forti. Tuttavia, queste critiche quasi mai risultano in sanzioni, embarghi sulle armi o sostegno a iniziative legali internazionali contro i responsabili israeliani. Piuttosto, l’Occidente continua a fornire a Israele i mezzi per perpetrare ulteriori aggressioni.

Risposte all’aggressione contro il Libano

L’approccio occidentale alle aggressioni israeliane in Libano è similmente permissivo. Le ripetute violazioni dello spazio aereo libanese da parte di Israele, compreso l’uso del territorio libanese per lanciare attacchi contro la Siria, sono diventate così routinarie da ricevere scarsa attenzione nei media occidentali. Durante la guerra del 2006, quando i bombardamenti israeliani causarono oltre mille morti civili libanesi e distrussero infrastrutture critiche, le potenze occidentali ostacolarono le richieste di un immediato cessate il fuoco, concedendo a Israele più tempo per perseguire i propri obiettivi militari.

Oggi, qualsiasi tensione transfrontaliera tra Israele e Hezbollah viene in genere inquadrata quasi esclusivamente come frutto di “proxy iraniani”, cancellando il fatto che Israele continua a violare le risoluzioni ONU sul ritiro dal territorio libanese e mantiene una postura di minaccia militare permanente verso il suo vicino settentrionale.

Governi arabi

I governi arabi, da parte loro, hanno mostrato risposte divise e spesso incoerenti al terrorismo di Stato israeliano. Sulla carta, la Lega Araba ha ripetutamente condannato le azioni israeliane ed espresso solidarietà con Palestina, Iran e Libano. Nei fatti, però, le risposte sono molto diverse: si va da un autentico sostegno diplomatico e economico alle vittime dell’aggressione fino alla tacita o aperta normalizzazione delle relazioni con Israele.

Alcuni Stati, come l’Algeria, hanno mantenuto una politica coerente di non riconoscimento e forte opposizione politica alle politiche israeliane, sostenendo azioni legali internazionali e rifiutando la normalizzazione. Altri, invece, hanno sottoscritto accordi nell’ambito dei cosiddetti Accordi di Abramo o simili, dando priorità a interessi strategici ed economici rispetto alla solidarietà con la Palestina o all’opposizione alle aggressioni israeliane.

Questa tendenza alla normalizzazione ha indebolito la leva collettiva araba, frammentato il fronte regionale contro le azioni israeliane e incoraggiato Tel Aviv a perseguire le proprie politiche aggressive con maggiore impunità. Le risposte tiepide di alcune capitali arabe agli attacchi israeliani su Gaza e Libano non sono passate inosservate alle loro popolazioni, molte delle quali continuano a manifestare un ampio sostegno alla causa palestinese.

Organizzazioni internazionali

Le organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, hanno prodotto un ampio repertorio di documentazione sulle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Organismi ONU, relatori per i diritti umani e commissioni d’inchiesta indipendenti hanno ripetutamente riscontrato elementi riconducibili a crimini di guerra e crimini contro l’umanità nelle operazioni militari israeliane. Tuttavia, la capacità di queste organizzazioni di agire in modo risoluto è ostacolata dalle dinamiche di potere politico al loro interno — in particolare dal predominio degli Stati occidentali negli organi decisionali chiave.

Le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU hanno un peso morale ma mancano di meccanismi di attuazione. Le misure del Consiglio di Sicurezza vengono frequentemente bloccate dal veto degli Stati Uniti e talvolta di altre potenze occidentali. Ciò ha creato una cultura di impunità, in cui Israele può ignorare il diritto internazionale con scarso timore di conseguenze tangibili.

Le organizzazioni non governative, locali e internazionali, hanno svolto un ruolo cruciale nel documentare gli abusi israeliani e nel richiedere responsabilità. Eppure anche queste ONG affrontano intense pressioni politiche, campagne di delegittimazione e restrizioni quando le loro conclusioni mettono in discussione le narrative filoisraeliane dominanti nelle capitali occidentali.

Conclusione

In conclusione, le risposte regionali e internazionali al terrorismo di Stato israeliano contro Iran, Gaza e Libano rivelano una profonda crisi nel sistema internazionale. I governi occidentali forniscono coperture diplomatiche e sostegno militare; alcuni governi arabi procedono alla normalizzazione, indebolendo la solidarietà regionale; e le organizzazioni internazionali restano vincolate da pressioni politiche.

Per ottenere una reale responsabilità occorre un mutamento fondamentale di questa dinamica — un cambiamento che dia priorità ai diritti delle vittime rispetto agli interessi geopolitici degli Stati potenti. Il riconoscimento della Palestina, pur necessario, deve essere accompagnato da misure concrete: sanzioni, embarghi sulle armi e l’azione legale contro i responsabili di crimini di guerra.

Solo così si potrà iniziare a smantellare la cultura dell’impunità che alimenta il terrorismo di Stato israeliano, e solo così si potranno gettare le basi per una pace giusta e duratura nella regione.


Regional and International Responses to Israeli State Terrorism Against Iran, Gaza, and Lebanon

Good morning,

My name is Giulio Chinappi, I am a political analyst and author of World Politics Blog. It is both an honor and a solemn responsibility to address you today on the subject of regional and international responses to Israeli state terrorism — in particular, the positions of Western and Arab governments, as well as international organizations, in relation to Israeli aggression against Iran, Gaza, and Lebanon.

Israeli state terrorism is not an abstract concept. It manifests in concrete, repeated actions: targeted assassinations, indiscriminate bombardments of civilian areas, destruction of essential infrastructure, and the systematic use of siege and blockades to collectively punish entire populations. Whether it is the bombardment of Gaza, the targeted killing of Iranian scientists and military officials, or the repeated violations of Lebanese sovereignty, Israel has demonstrated a consistent pattern of behavior in defiance of international law. What is equally telling — and deeply alarming — is the uneven and often hypocritical response from the international community.

Western Responses

The governments of the so-called Western democracies have, for decades, been complicit — directly or indirectly — in enabling Israeli aggression. This complicity takes many forms: diplomatic cover at the United Nations, the blocking of resolutions that seek to hold Israel accountable, and the continued supply of weapons and military technology despite overwhelming evidence of war crimes. The United States, Israel’s most steadfast ally, has repeatedly used its veto power at the UN Security Council to shield Tel Aviv from any binding international sanctions or investigations. This political protection is matched by billions of dollars in annual military aid, effectively subsidizing the very acts of aggression that Washington claims to condemn in other contexts.

European powers, too, have largely failed to break with this policy of indulgence. While some European governments have at times issued strong verbal condemnations — particularly during episodes of mass civilian casualties in Gaza — these have rarely been followed by concrete measures. Arms exports continue, trade relations remain unaffected, and in some cases, security cooperation has even intensified after Israeli offensives.

A particularly telling aspect of this double standard has been the late and cautious recognition of the State of Palestine by certain Western governments. While countries such as Sweden recognized Palestine in 2014, others — including Ireland, Spain, and Norway — only made this move many years later, and often under immense public pressure, in the wake of particularly severe Israeli assaults on Gaza. Even then, these recognitions have frequently been symbolic, unaccompanied by substantive policy changes, sanctions, or the suspension of military cooperation with Israel. This reluctance to act decisively, and the fact that recognition has come decades after Palestine’s 1988 declaration of independence and UN General Assembly acknowledgment, speaks volumes about the West’s unwillingness to confront the structural roots of the conflict.

The contrast is stark when one considers how quickly the same Western capitals have recognized new states elsewhere in the world when it suited their geopolitical interests. The delay in recognizing Palestine — even on a purely diplomatic level — is emblematic of a broader Western approach that privileges Israel’s political and military dominance over the legitimate rights of the Palestinian people.

Responses to Aggression Against Iran

Western positions on Israeli aggression against Iran follow a similarly one-sided pattern. Israel’s repeated acts of sabotage, targeted killings, and cyberattacks against Iranian infrastructure have been met not with condemnation, but often with tacit approval or thinly veiled praise. These acts are justified under the pretext of “self-defense” or “non-proliferation,” despite being carried out on the territory of a sovereign state and in blatant violation of international norms.

The Western narrative consistently frames Iran as the primary regional threat, while ignoring or minimizing Israel’s role in escalating tensions. The United States and several European allies have even integrated Israeli intelligence into joint operations targeting Iran. This selective outrage is not lost on the global South, which increasingly views Western talk of a “rules-based international order” as deeply hypocritical.

Responses to Aggression Against Gaza

In the case of Gaza, Western responses have been even more revealing. The Gaza Strip — one of the most densely populated areas on Earth — has been subjected to a blockade for over 15 years, resulting in what the United Nations has described as a humanitarian catastrophe. Periodic Israeli military assaults, such as those in 2008–09, 2014, and in subsequent escalations, have killed thousands of Palestinians, the majority of them civilians, including large numbers of children.

Despite this, Western governments typically respond to Israeli bombardments with statements that “recognize Israel’s right to self-defense,” while offering only mild and carefully balanced language urging “restraint” or “de-escalation.” Rarely do these governments acknowledge the context: that Gaza is under illegal siege, that its population is overwhelmingly made up of refugees, and that the violence is overwhelmingly asymmetrical.

It is only in moments of extreme public outrage, when images of massacres or destroyed hospitals become impossible to ignore, that some Western leaders issue stronger criticisms. Yet these criticisms are almost never followed by sanctions, arms embargoes, or support for international legal action against Israeli officials. Instead, the West continues to supply Israel with the means to carry out further aggression.

Responses to Aggression Against Lebanon

The Western approach to Israeli aggression in Lebanon is similarly permissive. Israel’s repeated violations of Lebanese airspace, including the use of Lebanese territory to launch attacks on Syria, have become so routine that they barely register in Western media. During the 2006 war, when Israeli bombardments killed over a thousand Lebanese civilians and destroyed critical infrastructure, Western powers blocked calls for an immediate ceasefire, giving Israel more time to pursue its military objectives.

Today, any cross-border tensions between Israel and Hezbollah are framed almost exclusively as the result of “Iranian proxies,” erasing the fact that Israel continues to violate UN resolutions regarding its withdrawal from Lebanese territory and maintains a posture of constant military threat against its northern neighbor.

Arab Governments

Arab governments, for their part, have shown a divided and often inconsistent response to Israeli state terrorism. On paper, the Arab League has repeatedly condemned Israeli actions and expressed solidarity with Palestine, Iran, and Lebanon. In practice, however, the responses have varied widely, ranging from genuine diplomatic and economic support for the victims of aggression to tacit or open normalization of relations with Israel.

Some states, such as Algeria, have maintained a consistent policy of non-recognition and strong political opposition to Israeli policies, supporting international legal action and refusing normalization. Others, however, have entered into agreements under the so-called “Abraham Accords” or similar arrangements, effectively prioritizing strategic and economic interests over solidarity with Palestine or opposition to Israeli aggression.

This normalization trend has weakened collective Arab leverage, fragmented the regional front against Israeli actions, and emboldened Tel Aviv to pursue its aggressive policies with even greater impunity. The muted responses of certain Arab capitals to Israeli attacks on Gaza and Lebanon have not gone unnoticed by their own populations, many of whom continue to express overwhelming support for the Palestinian cause.

International Organizations

International organizations, particularly the United Nations, have produced an extensive record documenting Israeli violation of international law. UN bodies, human rights rapporteurs, and independent commissions of inquiry have repeatedly found evidence of war crimes and crimes against humanity in Israeli military operations. However, the ability of these organizations to act decisively is hampered by the political power dynamics within them — especially the dominance of Western states in key decision-making bodies.

Resolutions passed by the UN General Assembly carry moral weight but lack enforcement mechanisms. Security Council measures are frequently vetoed by the United States and, occasionally, other Western powers. This has created a culture of impunity, where Israel can disregard international law with little fear of tangible consequences.

Non-governmental organizations, both local and international, have played a crucial role in documenting Israeli abuses and advocating for accountability. Yet even these NGOs face intense political pressure, smear campaigns, and restrictions when their findings challenge the dominant pro-Israel narratives in Western capitals.

Conclusion

In conclusion, the regional and international responses to Israeli state terrorism against Iran, Gaza, and Lebanon reveal a deep crisis in the international system. Western governments provide diplomatic cover and military support; certain Arab governments engage in normalization that undermines regional solidarity; and international organizations remain constrained by political pressures.

If we are to see genuine accountability, there must be a fundamental shift in this dynamic — one that prioritizes the rights of victims over the geopolitical interests of powerful states. Recognition of Palestine, while necessary, must be accompanied by concrete measures: sanctions, arms embargoes, and the pursuit of legal action against perpetrators of war crimes.

Only then can we begin to dismantle the culture of impunity that sustains Israeli state terrorism, and only then can we lay the foundations for a just and lasting peace in the region.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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