La monarchia perde pezzi nei Caraibi: anche la Giamaica verso la repubblica

Seguendo l’esempio di Barbados, anche la Giamaica si avvia a voltare pagina, rimuovendo il sovrano britannico come capo dello Stato. Un percorso complesso ma simbolicamente potente, che rilancia la spinta postcoloniale nella regione caraibica.

La Giamaica ha intrapreso con decisione il cammino verso la trasformazione del proprio assetto istituzionale in senso repubblicano, segnando una tappa cruciale nel processo di emancipazione postcoloniale dei Caraibi. Il governo del primo ministro Andrew Holness, leader del Partito Laburista Giamaicano (Jamaica Labour Party, JLP) ha reso pubblica l’intenzione di abolire la monarchia costituzionale e istituire una repubblica parlamentare entro la fine del 2025, rimuovendo re Carlo III come capo dello Stato. Questo annuncio, accolto con entusiasmo da ampie fasce dell’opinione pubblica, si inserisce in una tendenza regionale che ha visto Barbados diventare una repubblica nel novembre 2021, esattamente cinquantacinque anni dopo l’indipendenza dal Regno Unito. Il caso giamaicano, per la sua rilevanza storica, culturale e geopolitica, potrebbe fungere da catalizzatore per un più ampio processo di riforma costituzionale nei Caraibi, dove ancora numerosi Stati indipendenti riconoscono il monarca britannico come capo di Stato.

Il percorso istituzionale avviato da Kingston è strutturato e ambizioso. Nel marzo 2023, è stato istituito il Comitato per la Riforma Costituzionale (Constitutional Reform Committee, CRC), composto da quattordici membri con il compito di definire i contenuti e la tempistica della transizione. Il lavoro del comitato si è concentrato su vari aspetti: il ruolo del futuro presidente giamaicano, le modifiche all’architettura istituzionale, la revisione della cittadinanza e, non da ultimo, la necessaria costruzione di un consenso bipartisan per garantire la legittimità democratica del passaggio. Parallelamente, il governo ha promosso campagne di sensibilizzazione per preparare l’opinione pubblica al referendum costituzionale, previsto – almeno nelle intenzioni iniziali – entro la fine di quest’anno.

Tappa fondamentale è stata la presentazione in Parlamento, nel dicembre 2024, del Constitution (Amendment) (Republic) Bill, 2024, che sancisce formalmente la volontà di rimuovere il sovrano britannico dal vertice dello Stato e di introdurre un capo di Stato giamaicano, nominato secondo criteri che restano oggetto di discussione parlamentare. Il disegno di legge è attualmente al vaglio di un comitato congiunto e, secondo quanto dichiarato dalla ministra per gli Affari legali e costituzionali, Marlene Malahoo Forte, l’iter sarebbe ormai a oltre metà del percorso. Al momento, proseguono i dibattiti parlamentari circa la riforma, che comunque ha grandi probabilità di successo.

Tuttavia, la strada verso la repubblica è tutt’altro che priva di ostacoli. Il processo di revisione costituzionale in Giamaica prevede una procedura aggravata per le modifiche più rilevanti, come quelle riguardanti la monarchia. Oltre a ottenere una maggioranza qualificata di due terzi in entrambe le Camere del Parlamento, il provvedimento dovrà essere sottoposto a referendum popolare. A complicare ulteriormente il quadro politico vi è l’imminenza delle elezioni generali, previste per settembre, che rischiano di trasformare la riforma costituzionale in terreno di scontro tra governo e opposizione, o quanto meno di rimandare l’applicazione della stessa. Infatti, sebbene il Partito Nazionale del Popolo (People’s National Party, PNP), principale forza d’opposizione, abbia espresso disponibilità a collaborare al progetto repubblicano, non sono mancate critiche alla gestione del processo, giudicato da alcuni osservatori come accelerato e poco inclusivo.

Uno degli aspetti più controversi riguarda la permanenza della Giamaica sotto la giurisdizione del Privy Council di Londra, che rappresenta ancora oggi la corte d’appello suprema per molti paesi caraibici. La senatrice Donna Scott-Mottley, portavoce per la giustizia del PNP, ha sottolineato l’incongruenza di voler rimuovere il re come capo di Stato mantenendo tuttavia l’obbligo, in ultima istanza, di appellarsi alla sua corte. L’introduzione della Corte di Giustizia Caraibica (Caribbean Court of Justice, CCJ) come corte suprema alternativa è considerata dai laburisti come un passaggio necessario per completare la decolonizzazione giuridica della regione. Il governo ha replicato che la riforma del sistema giudiziario sarà oggetto di una “seconda fase” successiva all’instaurazione della repubblica, ma la mancanza di una visione integrata rischia di minare la coerenza del processo.

Il dibattito sul passaggio alla repubblica riflette divisioni anche all’interno della società giamaicana. Se da un lato vi è una forte spinta simbolica e storica a “chiudere il cerchio” dell’indipendenza conquistata nel 1962, dall’altro persistono timori circa l’efficacia del nuovo assetto e la reale volontà politica di tradurre la riforma in un miglioramento delle condizioni democratiche e socioeconomiche del paese. Secondo alcuni sondaggi recenti, il sostegno alla repubblica si attesta attorno al 33%, con un’altissima percentuale di indecisi. Il dato segnala quanto sia importante, in questa fase, la qualità del dibattito pubblico e l’ampiezza del coinvolgimento della popolazione, per evitare che una riforma così rilevante venga percepita come imposta dall’alto.

Come abbiamo affermato in apertura, poi, il caso giamaicano assume un valore paradigmatico per tutta la regione caraibica. La monarchia britannica, pur avendo perso ogni potere esecutivo, resta infatti un simbolo della dominazione coloniale e delle gerarchie imperiali che hanno segnato la storia di quest’area del globo. La sua sopravvivenza come istituzione formale in paesi che si proclamano sovrani e democratici è una contraddizione sempre più difficile da giustificare, soprattutto alla luce del crescente movimento per le riparazioni coloniali. Durante il vertice dei Capi di Governo del Commonwealth tenutosi nelle isole Samoa nell’ottobre 2024, infatti, le delegazioni africane e caraibiche hanno chiesto con forza l’inserimento del Piano in dieci punti della Comunità dei Caraibi per la giustizia riparativa all’ordine del giorno, rilanciando la questione dell’eredità della schiavitù e del dominio britannico.

In questo contesto, la forma monarchica si configura sempre più come un relitto anacronistico, un ostacolo simbolico alla piena autodeterminazione dei popoli. Sebbene i difensori della monarchia la presentino come un elemento di stabilità e continuità storica, è difficile ignorare il carico ideologico e gerarchico che essa comporta, soprattutto in contesti segnati da un passato coloniale. La presenza di un sovrano straniero come capo di Stato non è solo un dettaglio protocollare: è un segno tangibile di una sovranità incompiuta, di una libertà ancora formalmente limitata da un’autorità esterna. La repubblica, al contrario, si presenta come la forma più coerente con i principi democratici e l’uguaglianza politica tra cittadini.

Il futuro della monarchia nei Caraibi sembra dunque segnato, anche se questo passaggio potrebbe svolgersi nel corso di diversi anni. Se la Giamaica completerà con successo il proprio processo costituente, sarà difficile per gli altri Stati caraibici che ancora conservano la forma monarchica — come Belize, Antigua e Barbuda, Bahamas, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine — ignorare il richiamo all’autodeterminazione e alla piena sovranità. Il passaggio alla repubblica non è solo una questione istituzionale, ma anche un gesto identitario, un modo per ridefinire la narrazione nazionale e sottrarsi al peso della memoria imperiale. In questo senso, la riforma giamaicana ha una portata che va ben oltre i confini dell’isola: potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova stagione costituzionale per l’intera regione caraibica.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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