La Cina esorta gli Usa a smettere subito di alimentare la macchina da guerra in Medio Oriente

In un editoriale allarmato, il Global Times denuncia l’escalation di tensione in Medio Oriente e invita gli Stati Uniti a rinunciare alle minacce militari, puntando sulla diplomazia per la risoluzione pacifica del conflitto Iran‑Israele e fermare l’ulteriore spargimento di sangue.

Global Times – 19 giugno 2025

La situazione in Medio Oriente si fa sempre più tesa. «Gli Stati Uniti si stanno preparando alla guerra?», titola Al Jazeera, riflettendo le profonde preoccupazioni nella regione e nella comunità internazionale per un possibile intervento militare Usa nel conflitto Iran‑Israele che rischierebbe di far precipitare il caos. Di fronte alle minacce di guerra degli Stati Uniti, il Leader Supremo iraniano ’āyatollāh ʿAlī Khāmeneī ha dichiarato mercoledì in un discorso televisivo che l’Iran «non si arrenderà» e ha avvertito che ogni intervento militare statunitense provocherebbe «danni irreparabili». Il mondo osserva con il fiato sospeso: Washington sta semplicemente ponendo un estremo ricatto prima dei negoziati o mobilitando l’opinione pubblica per giustificare un conflitto? In ogni caso, il solo fatto che gli Usa stiano valutando un coinvolgimento è di per sé un segnale estremamente pericoloso.

Le vie diplomatiche per la questione nucleare iraniana non sono state esaurite e una soluzione pacifica resta possibile. È consenso globale che la forza militare non porti pace in questa regione: solo difendendo la sicurezza comune si possono considerare pienamente le legittime preoccupazioni di tutte le parti. Prima dell’attuale crisi, Washington e Teheran avevano già tenuto cinque tornate di colloqui sul nucleare. Pur senza risultati risolutivi, la trattativa era in corso, e la sesta tornata si sarebbe svolta a Muscat se non fosse stata interrotta dal blitz militare israeliano. È chiaro, dunque, che non il fallimento della diplomazia, ma un’avventura bellica ha fatto scoppiare il conflitto.

La questione nucleare iraniana perdura da oltre vent’anni e insegna che solo con la politica e la diplomazia si può risolverla correttamente. La lezione storica più profonda è che la continua pressione e la violazione degli accordi internazionali complicano sempre di più la situazione. Gli Stati Uniti portano una parte di responsabilità: se Washington non si fosse unilateralmente ritirata dal Piano d’Azione Congiunto (JCPOA) e avesse attuato l’accordo in modo efficace, la crisi probabilmente non sarebbe degenerata nell’attuale stallo.

L’Iran, come membro della Comunità internazionale, merita rispetto della sua sovranità e protezione dei suoi cittadini. Qualsiasi uso sconsiderato della forza contro il Paese costituisce una palese violazione del diritto internazionale e risulta inaccettabile, mentre nel mondo si cerca ancora una via politica di soluzione.

Dall’Afghanistan all’Iraq, la storia ha dimostrato che gli interventi militari Usa non hanno mai portato pace, ma solo devastazione e odio, danneggiando in ultima analisi anche la società statunitense. Il progetto Costs of War della Brown University calcola oltre 800.000 vittime dal 2001, più di 38 milioni di sfollati e costi superiori a 8.000 miliardi di dollari. Queste dolorose lezioni non vanno dimenticate. CNN avverte che «gli Stati Uniti rischiano un’altra guerra mediorientale», sottolineando che «l’Iran non è la Libia, l’Iraq o l’Afghanistan» e che «la storia non deve ripetersi». Un sondaggio dell’Economist rivela che il 60% degli statunitensi è contrario a un coinvolgimento militare, confermando che un ulteriore impegno bellico non riflette il vero sentimento del popolo.

La presenza militare statunitense in Medio Oriente è già ingente e le tensioni sono abbastanza elevate. Anche se Washington volesse solo «spaventare» l’Iran, le sue tattiche di «massima pressione» sabotano gli sforzi di pace e violano i principi di equità internazionale. Attualmente l’urgenza non è ridistribuire truppe o armamenti, ma promuovere la pace e fermare la guerra, evitando ulteriori escalation. Tornare al dialogo politico e negoziale è ciò che la comunità internazionale attende, poiché l’acuirsi del conflitto non giova a nessuno.

In quanto Paese di grande influenza su Israele, gli Stati Uniti dovrebbero adottare un atteggiamento obiettivo e imparziale, assumersi le proprie responsabilità e svolgere un ruolo costruttivo per allentare le tensioni e impedire l’espansione del conflitto. Il sangue continua a scorrere a Gaza, i profughi siriani restano sconvolti, e il Medio Oriente non può sopportare un’altra «guerra imposta». Se gli Usa desiderano veramente «risolvere i conflitti pacificamente», devono mandare segnali chiari, smettere di alimentare la macchina da guerra e farsi promotori di pace anziché complicare ulteriormente la crisi e diventarne parte integrante.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There is one comment

  1. Giacomo Greggan

    Suppongo che anche nella saggezza cinese vi siano concetti come quello che afferma che c’è un tempo per ogni cosa, che per quanto riguarda la tradizione occidentale antica (peraltro ormai negata e risolutamente rifiutata), è espresso nel libro biblico di Qoelet (un tempo per nascere e un tempo per morire…un tempo per la guerra e un tempo per la pace etc.). A fronte della situazione mondiale attuale e alla luce dei comportamenti schizofrenici dell’attuale presidente americano e di quelli semplicemente folli del criminale sionista mi pare che gli appelli ad un “atteggiamento obiettivo e imparziale”, a “svolgere un ruolo costruttivo”, a “risolvere i conflitti pacificamente” e altri simili dichiarazioni di moderazione siano, a mio avviso, appunto fuori tempo. La Cina ha passato anni a ricordare al suo popolo il comportamento degli USA negli ultimi 50 anni, e gli avvenimenti degli ultimi quattro non hanno fatto altro che fornire conferme del fatto che sono sempre gli stessi, da quando stipulavano trattati con i nativi americani facendoli ubriacare per spuntare condizioni migliori e poi li stracciavano quando i loro interessi erano cambiati e si sentivano militarmente abbastanza forti da imporre la loro volontà. Se si consente loro di distruggere l’Iran (dopo aver indebolito la Russia con la guerra per procura in Ucraina) la Cina si troverà da sola a fronteggiare USA e alleati che non hanno altra ambizione che rispedirla a 50 anni fa per proseguire il proprio incontrastato dominio sul mondo fino alla sua completa distruzione. Forse questo sarebbe il momento migliore, sia dal punto di vista congiunturale che da quello della “legalità internazionale”, per riprendere con un blitz il controllo dell’isola di Taiwan e bloccare l’esportazione di microchips e altri apparati elettronici verso i paesi occidentali, dato che gli USA hanno già un fronte aperto in Ucraina e un altro in Medio Oriente, per cui hanno dovuto inviare mezzi militari e attrezzature dal Pacifico. Se si attende che Israele finisca il “lavoro sporco” (cit. Merz) che sta facendo nella regione e annichilisca le risorse iraniane da un lato e dall’altro liberi risorse militari per alimentare il fronte sul Pacifico tanto vale arrendersi subito e consegnare ai neocon e ai Maga le chiavi di Pechino, e insieme con esse quelle di tutti i paesi del cosiddetto “Sud Globale” che negli ultimi anni avevano sperato nel crollo imminente e definitivo del colonialismo occidentale che dura da oltre cinque secoli.

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