Neo-keynesismo di guerra: spingere la difesa come motore economico rischia ricadute occupazionali e aumento del debito, mentre l’UE impone ai paesi NATO il 2% del PIL, la Germania guida la spesa e i sindacati subalterni facilitano il patto sociale bellico.

Neo-keynesismo di guerra, ossia l’accrescimento delle spese per il militare elevando il settore della difesa a volano della crescita economica? Nella riconversione non avverrà un semplice travaso dal civile al militare, ma anche dei processi di ristrutturazione che potrebbero distruggere posti di lavoro prima di crearne di nuovi, appoggiandosi su generosi ammortizzatori sociali che avranno un costo per quei bilanci dello Stato già in fase di feroce dimagrimento per le ricette neoliberiste della minor pressione fiscale e degli sgravi alle imprese.
In Germania sono un bel passo in avanti rispetto ad altri paesi UE e stanno individuando i settori destinati alla riconversione bellica, che poi sono aziende dell’indotto meccanico oggi decisamente in crisi.
Nel frattempo la UE spinge gli Stati membri a investire nel Riarmo risorse pubbliche nazionali e comunitarie, e lo farà in misura crescente da qui ai prossimi anni, con un aumento che a logica sembrerebbe inspiegabile.
I paesi membri della NATO si sono appena impegnati a non andare al di sotto del 2 per cento del PIL per la spesa militare; nell’anno corrente diversi paesi sono ancora fermi a cifre giudicate irrisorie: Portogallo (1,55%), Italia (1,49%), Canada (1,37%), Belgio (1,3%) e Spagna (1,28%).
La Germania, nel 2024, si è portata al 2 per cento per la spesa militare.
Se la UE vuole accrescere il suo PIL e aumentare al contempo le spese militari, dovrà prima far quadrare i conti, specie se la crescita economica deriverà, secondo previsioni, da investimenti pubblici e privati nel settore difesa. Si tratta di costruire infrastrutture e competenze, investire nella ricerca e nella produzione bellica, sapendo che i margini di crescita dell’economia europea restano assai limitati e gli obiettivi del Libro Bianco della Difesa restano forse fin troppo ambiziosi.
La Germania è stato tuttavia il primo Stato membro dell’UE ad avere annunciato l’aumento della spesa pubblica per politiche di riarmo e di difesa; molte altre nazioni seguiranno a ruota, pur dosando le dichiarazioni di intenti anche per non urtare le suscettibilità degli alleati e contenere le proteste dell’opinione pubblica.
Solo pochi giorni fa sono scaduti i termini per presentare istanza di aumento della spesa pubblica per il settore bellico senza rompere gli equilibri di bilancio: siamo davanti alla parziale sospensione delle regole UE, allentando i parametri della spesa pubblica per un congiunto sforzo nel Riarmo.
Il patto di stabilità interno non è più un tabù, come anche i giorni di ferie a disposizione della forza lavoro tedesca, tanto che arriva la proposta di abolire un giorno festivo per ricavare risorse da spendere nel militare — soluzione già praticata in Danimarca e destinata a essere seguita da altri paesi. Dirimente sarà il ruolo dei sindacati nel far passare questi processi, affermando la mera subalternità della forza lavoro e delle parti sociali alle istanze di guerra.
E come non intravedere un nuovo patto sociale all’orizzonte, con l’immancabile presenza di qualche sindacato subalterno — ossia la rinuncia a diritti acquisiti per favorire la spesa militare. Dall’“oro alla patria” di epoca fascista ai giorni di lavoro devoluti al Riarmo, il passo è breve.
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