Tra salvatori della patria ed eroi: quando si gioca a nascondino sulla pelle dei salariati e delle classi meno abbienti

A detta di molti la sorte dell’Italia dipende dalle scelte Ue, i salariati italiani non possono separare il loro futuro da quello della forza lavoro comunitaria.

L’Europa si trova davanti a un bivio e la strada del Riarmo potrebbe essere senza ritorno, ammettendo che un “continente di pace” sia stata una mossa propagandistica, quando la UE si accodava, nel 1999, all’aggressione contro l’ex Jugoslavia. Forse è proprio lo sviluppo della UE ad essere al capolinea o, comunque, lo sarà per alcuni dei suoi membri storici.

Non solo crisi demografica, ma anche l’idea dura a morire che il rilancio della produttività sia legato alla riduzione del costo del lavoro e non agli investimenti pubblici e privati, alla modernizzazione della PA, alla ricerca.

Fonti autorevoli, incluse quelle che lanciarono Romano Prodi ai tempi dell’Ulivo, parlano di stagnazione della produttività per invocare la ricetta Draghi come unica soluzione alla crisi del Vecchio Continente e quindi assumono come via di uscita le posizioni più guerrafondaie.

Ulteriore elemento di riflessione riguarda il welfare, la cui presunta insostenibilità è collegata alla crisi economica e non alla deliberata scelta del Riarmo, che sottrarrà risorse allo Stato sociale. E poi le insopportabili pretese governative di aiutare l’economia sostituendosi ai padroni negli aumenti contrattuali, facendo pagare loro meno tasse e riducendo, pur in misura inferiore, le stesse ai salariati—soluzione, per altro, già attuata da precedenti esecutivi senza grandi risultati.

Prima o poi i nodi tornano al pettine; prova ne sia che ormai il Vecchio Continente non innova: su cento brevetti solo ventotto sono europei e nessuno arriva dall’Italia. Inutile cullarsi sugli allori: lo smantellamento dell’industria di Stato (conditio sine qua non per accedere nei salotti buoni della UE), realizzato dal centrosinistra alla fine del secolo scorso, è la causa dell’attuale sventura.

La folle pretesa di essere competitivi senza investire, di riarmarsi facendo credere che il welfare state sia ormai un inutile lusso che non possiamo permetterci: quando si hanno strumenti intellettuali raffinati e conoscenze diffuse diventa fin troppo facile giocare con i termini e i concetti. Il sogno americano si sta concretizzando, ma non assume le sembianze del secondo dopoguerra bensì quelle tipicamente liberiste che hanno smantellato quel poco di welfare esistente.

Nello scrigno degli europeisti si celano parole magiche: dalla produttività al riarmo, dall’agglomerazione alla lotta contro le disuguaglianze, dal rilancio delle aree urbane alla costruzione di assetti industriali più grandi.

Se guardiamo ai dati ufficiali, il nostro Paese ospita molteplici disuguaglianze, acuite da trent’anni di ascensore sociale fermo, di cui nessuno si è mai seriamente preoccupato. Il disinteresse cronico a sinistra verso le questioni sociali produce alla fine la tacita accettazione delle disuguaglianze come frutto non di scelte ma di un avverso destino. È forse becero quanto stiamo per dire, ma qualche comparsata in meno al Gay Pride e qualche visita nei quartieri popolari non guasterebbero per un bagno di umiltà e di realismo da parte della sinistra “ztl”. E per noi i diritti civili sono un valore aggiunto, ma senza quelli sociali diventano uno specchietto per le allodole che regala le classi popolari alle destre.

Le disuguaglianze tra aree geografiche in Europa hanno raggiunto i livelli statunitensi; i divari territoriali, poi, diventano divari sociali ed economici. Per sfuggire alla decadenza economica si sta pensando di rilanciare aree dedite a investimenti tecnologici: un ruolo dirimente verrà giocato dalla riconversione di settori dell’economia a fini militari e, anche in questo campo, la Germania è un passo avanti rispetto agli altri paesi europei.

Parlare di centro e di periferia presuppone prima individuare e circoscrivere le aree interessate: siamo certi poi che paesi “al centro” nell’arco di un ventennio non siano scivolati in periferia, come si evince anche dai dati economici?

Prendiamo i fondi di coesione comunitari, che in teoria dovrebbero servire a ridurre le disuguaglianze territoriali: in questi trenta anni sono stati utilizzati in maniera proficua? Nel frattempo le disuguaglianze sono cresciute e lo saranno in misura ancora maggiore proprio con le politiche del Riarmo; del resto molte risorse sono state distribuite per guadagnare il consenso di singoli paesi senza chiedere in cambio riforme strutturali; o quando la UE si è mossa ha messo in ginocchio—e alla fame—un popolo come avvenuto in Grecia.

L’Italia non è vittima della Germania: anzi, la sua stessa manifattura è trainata da quella tedesca. I Länder orientali sono decisamente arretrati rispetto a quelli occidentali, ma il Mezzogiorno italiano lo è in misura maggiore rispetto alle aree del Centro e del Nord.

Se quindi manca la volontà politica di ridurre le disuguaglianze, meglio allora arrampicarsi sugli specchi e costruire una società in cui le sperequazioni saranno sempre più accentuate e diversificate.

Un ultimo e veloce accenno al PNRR: in attesa di conoscere gli effetti sulle economie che hanno attinto dai fondi comunitari, sarebbe opportuno ammettere che una buona parte di queste risorse è stata progressivamente indirizzata ad altri capitoli di investimento rispetto a quelli inizialmente delineati. In estrema sintesi, meno investimenti sociali a vantaggio di stanziamenti per i settori trainanti per l’economia UE.

I prossimi anni saranno utili a capire se questi capitali sono stati spesi bene o se rappresentano solo una boccata di ossigeno per ritardare la resa dei conti del Vecchio Continente.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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