Esercito di leva: si ritorna al passato?

Abbiamo chiesto a Federico, delegato Cub e attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università, qualche riflessione sulla proposta di ripristinare la leva obbligatoria.

Si torna alla leva obbligatoria?

La leva obbligatoria non esiste dal 2005 in Italia e sopravvive solo in alcuni paesi della UE; tutte le altre nazioni hanno scelto l’esercito professionale. La fine dell’esercito di leva rappresentava una svolta epocale, dettata dai contesti storici e geopolitici in evoluzione e dai processi tecnologici che andavano rivoluzionando anche il settore militare.

I Comuni stanno completando le procedure per l’aggiornamento delle liste di leva, i nominativi di tutti i cittadini maschi di età tra i 17 e i 45 anni, come prevede il D.lgs. n. 66 del 2010 (il Codice dell’ordinamento militare). Che poi questo aggiornamento sia funzionale a un futuro ripristino della leva lo vedremo; noi pensiamo che l’esercito professionale resti la struttura portante per l’intero sistema s.

Ma l’esercito professionale come nasceva?

Dalla fine dello scontro Est e Ovest, e dal 1989, se i vari paesi europei si sono convinti, nell’arco di pochi anni, di superare la leva, la spiegazione sta proprio nell’evoluzione dello stesso concetto di guerra, per il quale servivano e servono élites militari di professione, addestrate e formate anche sul piano ideologico. E una volta cessata l’attività militare queste élites avevano e hanno una corsia preferenziale per accedere ai concorsi nella PA e non solo nelle forze di polizia. La riforma dell’esercito faceva parte di un disegno complessivo: eliminando la leva non rimuovevi il militare dalla società, ma semmai andavi a costruire le basi di un processo di lenta e inesorabile militarizzazione.

Con la guerra in Ucraina sono cambiati alcuni scenari: da qui scaturisce la necessità di avere organici numerosi, da impiegare in guerre logoranti che si trascinano per anni, con l’occupazione e il presidio di vaste distese territoriali.

Si parla di ruolo ideologico della leva

È indubbio che la leva svolga anche un ruolo ideologico, di fedeltà passiva all’idea di patria, che poi rappresenta il terreno ideologico sul quale si costruiscono teorie e pratiche militariste e guerrafondaie. In una fase storica come la nostra non ci sono poi le controindicazioni degli anni Settanta e Ottanta, per capirci ragioni etiche, morali e politiche così forti da favorire la renitenza alla leva, l’obiezione di coscienza e una crescente disaffezione verso la nozione di patria e il ruolo delle forze armate.

Dopo il 1989, anche a destra, il fascino per la divisa allora era entrato in crisi: non c’era più da presidiare i confini difendendoli dalla minaccia dei paesi socialisti, iniziavano i discorsi sulla riduzione della spesa pubblica e l’idea che il Vecchio Continente avesse bisogno di un esercito professionale come gli USA. Dubito tuttavia che si possa paragonare un militare di professione a uno di leva, anche sul piano delle motivazioni ideologiche alla base della sua scelta: parliamo di scenari ben diversi che poi mutano anche a seconda dei contesti storici. E il ruolo dell’esercito professionale, dei riservisti (di cui parleremo dopo), resta ben diverso da quello dell’esercito di leva.

Veniamo alle proposte di legge

Oggi la Lega avanza una proposta di legge per ripristinare la leva obbligatoria e altre forze di destra si fanno promotrici di analoghe istanze in altri paesi UE: un servizio di leva di sei mesi, nella propria regione di residenza, impiegando ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 e i 26 anni. Per gli obiettori di coscienza ci sarà il servizio civile di durata identica, occupandosi della tutela del patrimonio culturale e naturale, di soccorso pubblico e di Protezione civile.

E per chi si sottrarrà alla leva e al servizio civile ci sarà un’accusa penale ai sensi dell’articolo 14 della legge 230 del 1998, con la reclusione da sei mesi a due anni.

Una proposta più completa della “mini-naja” proposta da La Russa, ma tale da provocare qualche perplessità anche a destra, almeno tra i fautori dell’esercito professionale convinti che una leva obbligatoria rappresenti un eccessivo incremento delle spese senza portare benefici reali ai dispositivi militari. Tenete conto che in Germania sono i Verdi a proporre un sistema analogo: i Verdi che, per quanto guerrafondai, non sono annoverabili nel fronte sovranista. Giusto a ricordare che le distinzioni, quando si parla di militare, sono talvolta fallaci e fuorvianti.

A detta di alcuni settori della nostra stessa società, oltre a una parte della classe politica, sarebbe invece auspicabile il modello israeliano, con la militarizzazione di tutta la società e l’istituzione della Riserva operativa, in cui far confluire ex militari che, dopo aver trovato un diverso impiego, sono disponibili a essere richiamati, con giustificazione al lavoro, due o tre mesi all’anno per addestramento o emergenze. Questi riservisti li ritroviamo nell’occupazione di terreni e case palestinesi per favorire gli insediamenti coloniali e, per quanto impopolare sia oggi il premier israeliano nel suo stesso paese, la stragrande maggioranza della popolazione risponde con solerzia alle chiamate del Ministero della Difesa.

Una ulteriore spiegazione per il ritorno in auge della leva potrebbe essere anche motivata dal continuo e costante calo degli organici militari (dai 190 000 nel 2010 siamo passati a 154 000 nel 2024 e, senza arruolamenti ulteriori, ci troveremmo da qui a sei-sette anni con l’età media delle truppe attorno ai 50 anni), che indurrebbe a mantenere da una parte l’esercito professionale e dall’altra anche qualche forma di leva prolungata o di riservisti, per destinare questi ultimi a operazioni sul territorio nazionale che vanno dall’ordine pubblico alla lotta agli incendi, dalla protezione fino al presidio del territorio: ricordando che l’Operazione “Strade Sicure” impiega circa 7 000 soldati che poi verrebbero a mancare in eventuali scenari di guerra.

Quindi un uso dei militari anche per l’ordine pubblico?

Se ne parla con sempre maggiore insistenza: senza dubbio spenderemo sempre più soldi pubblici per il militare; se mancheranno le risorse, andranno a prendere dal welfare. Poi non dimentichiamo la Bussola europea, che prefigura forze di intervento rapido a tutela degli interessi comunitari, e per questo genere di azioni servono professionisti…

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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