Lo scorso, 26 aprile, le esplosioni al porto di Shahid Rajaee di Bandar Abbas hanno causato almeno 40 vittime e centinaia feriti, provocando evacuazioni, ingenti danni infrastrutturali e il blocco delle spedizioni. L’analisi di Maria Morigi.

Il 26 aprile 2025, una serie di esplosioni ha devastato il porto di Shahid Rajaee a Bandar Abbas, nell’Iran meridionale. Almeno 40 morti. Circa 200 persone sono state trasferite in vari ospedali e gravi danni strutturali si sono verificati negli edifici amministrativi. Interi villaggi nell’area portuale sono stati evacuati per rischio di esplosioni secondarie ed esposizione a sostanze chimiche. Le autorità doganali iraniane hanno ordinato la sospensione immediata delle spedizioni. Tra le perdite più gravi, la massiccia distruzione di merci refrigerate, apparecchiature elettroniche, veicoli e generi alimentari. La versione dei media internazionali è che le esplosioni siano collegate a container contenenti perclorato di sodio.
Per l’economia commerciale iraniana il porto di Rajaee è il più grande (2.400 ettari) e importante centro infrastrutturale marittimo, “hub regionale” per l’Asia occidentale e l’Eurasia. Si colloca al 59° posto tra i 3.500 principali porti mondiali con un enorme volume di merci strategiche (prodotti siderurgici, rinfuse secche e liquide e derivati del petrolio greggio), una capacità di movimentazione annua di oltre 100 milioni di tonnellate di merci e una capacità di movimentazione container di 6 milioni di TEU all’anno. Gestisce quasi l’80% delle operazioni container dell’Iran, collegandosi a 80 porti internazionali con 35 compagnie di navigazione. Svolge anche un ruolo centrale nell’importazione di beni quali grano, riso, olio da cucina, farina di soia e mais. Circa 2 milioni di tonnellate di beni di prima necessità transitano ogni anno, su un totale di 20-25 milioni di tonnellate importate.
Rouydad24, sito Web di notizie analitiche da Teheran e fonte ufficiale ha paragonato l’esplosione di Bandar Abbas a quella del porto di Beirut, indicando con preoccupazione le conseguenze sulla crisi economica in atto nel Paese. Il sito riferisce che per indagare su vari aspetti dell’incidente è stata inviata una delegazione delle Commissioni per la Sicurezza nazionale e la Politica Estera, della Commissione per gli Affari Interni e dei Servizi sanitari e medici. La prima Commissione ha sottolineato che persone ferite di diversi gruppi etnici (curdi, lors, baluci, mazani e khorasani) sono state ricoverate nei due ospedali, Imam Zaman e Shahid Mohammadi. Riferendosi alle lacune nello stoccaggio delle merci e delle materie prime nel porto, la stessa Commissione ha affermato che verrà fatta un’indagine accurata sul trasferimento delle merci in arrivo ai magazzini (per regolamento le ispezioni sono effettuate solo dopo che il proprietario delle merci le ha identificate e non possono entrare nei locali commerciali senza identificazione). Il problema è dunque di impedire l’ingresso di merci pericolose e avviare controlli con tecnologie adeguate.
Questa brevemente la situazione che sui nostri media ha avuto marginale attenzione perché coinvolge l’Iran, additato come nemico e sostenitore dell’Asse della resistenza contro lo Stato ebraico. In realtà la superficialità della nostra informazione che punta all’impatto catastrofista ha lo scopo di far emergere le criticità di sicurezza proprio nel momento in cui si svolge il primo round dei colloqui Iran-Usa in Oman per cercare un accordo sul programma nucleare di Teheran. Il 26 aprile Washington affermava che i colloqui erano “Positivi e produttivi” e Teheran parlava di “discussioni serie ma ancora ci sono differenze“.
Tuttavia le peggiori critiche, condite da malcelata soddisfazione per la crisi economica che sta attraversando il “sistema teocratico” iraniano, le troviamo scritte sul sito del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) legato al partito dei Mojahedin del Popolo Iraniano (Mojahedin-e Khalq – MEK) o Esercito di Liberazione Nazionale, che, fuggito dall’Iran in Iraq e poi espulso dall’Iraq, ha fatto almeno 17.000 vittime, ma si proclama “Parlamento e governo in esilio della resistenza”.
I resoconti firmati CNRI descrivono una situazione da incubo, le esplosioni sono attribuite a grave negligenza, pessima gestione dei container e gestione impropria delle sostanze chimiche: materiali pericolosi, tra cui il perclorato di sodio immagazzinati in modo improprio. Le forze di sicurezza avrebbero isolato l’area, bloccando l’accesso al pubblico e impedendo ogni informazione. Gli agenti di sicurezza avrebbero preso il controllo dei ricoveri ospedalieri e della copertura mediatica.
Sempre secondo CNRI “la reazione del regime è stata caratterizzata da opacità e deflessione. Il Ministero della Difesa ha rilasciato frettolosamente una dichiarazione in cui negava la presenza di materiali militari sul sito, bollando i rapporti che collegavano le esplosioni al deposito di carburante missilistico come “guerra psicologica da parte di nemici stranieri”. “Masoud Pezeshkian, il presidente del regime, ha minimizzato la catastrofe con vaghe dichiarazioni, sostenendo che gli incidenti a volte siano “al di là del controllo umano”. Non si è assunto la responsabilità diretta del disastro e si è limitato a promettere un’indagine senza fornire dettagli. Il Ministero della Difesa del regime iraniano ha negato qualsiasi collegamento tra le esplosioni e i carichi militari, definendo le notizie sul carburante per missili “guerra psicologica da parte di nemici stranieri”. Il portavoce Reza Talaeinik ha affermato che al porto di Rajaee non era presente alcun carico militare. Nel frattempo, i media statali hanno cercato di minimizzare l’impatto politico ipotizzando “cause accidentali” e “sabotaggi esterni”. Alcuni media hanno accennato a un “possibile coinvolgimento straniero” per smorzare l’indignazione pubblica…Tuttavia, la rabbia pubblica rimane palpabile. I cittadini accusano il regime di negligenza sistemica e di anteporre i suoi interessi alla sicurezza civile, citando decenni di insabbiamenti, dall’abbattimento dell’aereo passeggeri PS752 ai recenti disastri ambientali” (1).
Il rapporto dipinge il disastro di Bandar Abbas come una dimostrazione del “decadimento sistemico e della corruzione che permea la dittatura clericale”. Questo incidente mette a nudo “l’incapacità di Teheran di salvaguardare le infrastrutture critiche e proteggere i propri cittadini”. Inoltre, la devastazione del porto potrebbe avere un impatto sulla fiducia delle compagnie di navigazione internazionali. Alla fine, il Parlamento in esilio si pone la domanda fatidica: “quanti altri disastri dovranno verificarsi prima che il mondo riconosca pienamente la catastrofica cattiva gestione del regime e il pericolo crescente per il suo stesso popolo e per l’intera regione?”.
Che dire? Viva la solidarietà tra iraniani e viva l’empatia! E pensare che, dopo aver lavorato per smascherare e denunciare questi ingombranti terroristi settari del MEK, assassini fin dagli anni Ottanta, solo pochi giorni fa festeggiavamo perché – finalmente – al CNRI sono stati negati finanziamenti e appoggi internazionali (2).
NOTE
(1) “Rapporto: le esplosioni catastrofiche nel porto di Bandar Abbas rivelano la negligenza del regime iraniano e la sua fragilità economica”. Scritto da Staff Writer, 28 aprile 2025.
(2) “Il declino finale di un gruppo terroristico: Il bilancio nero del MEK nell’ultimo anno”, di Alireza Niknam.
https://comedonchisciotte.org/il-declino-finale-di-un-gruppo-terroristico-il-bilancio-nero-del-mek-nellultimo-anno/
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