Tra contraddizioni e derive culturali, l’area comunista si trova a fare i conti con il suo immobilismo politico e ideologico. L’analisi di giudizi e posizioni su migrazioni, sicurezza e conflitti internazionali rivela fragilità e ambiguità profonde.

Premessa
Senza fare di ogni erba un fascio, i proverbi e i luoghi comuni vengono spontanei nel parlare di comunisti, partiamo da alcuni fatti: la lettura di commenti su immigrazione, quartiere milanese del Corvetto e guerra addentrandoci non nei comunicati ufficiali di tanti gruppi, dove si fa mostra di posizioni roboanti dettate dalla impotenza politica, siamo andati a guardare i giudizi espressi da buona parte del corpo militante di qualche gruppo per trarne un quadro analitico e umano degno di nota. Lo ripetiamo per essere chiari: non attaccheremo il movimento comunista, di cui facciamo parte, piuttosto vogliamo scandagliarne alcune derive culturali che alla fine ne determinano l’arretratezza culturale e la paralisi politica. Bisogna del resto prendere atto che al di fuori del conflitto sociale, sindacale e politico le svariate umanità, di destra e sinistra, assumono punti di vista, comportamenti sociali e opinioni sostanzialmente identiche.
Prendersela con la destra o la sinistra parlamentare ha poco senso se non prendiamo atto della omologazione culturale del loro elettorato ad alcune logiche securitarie, perbeniste e sostanzialmente funzionali alla salvaguardia dello status quo.
Prendiamo in esame la cosiddetta area comunista e multipolare alla quale vanno riconosciuti anche indubbi meriti nell’analisi della situazione internazionale.
Ma in questi giorni le vicende siriane hanno portato alla luce innumerevoli ambiguità e contraddizioni ad esempio:
l’idea che un fronte della Resistenza costituito da Iran, Russia di Putin potesse fare da argine rispetto allo strapotere Usa e Nato costituendo un oggettivo ostacolo rispetto a Turchia e Israele che invece escono decisamente rafforzate dalla fuga di Assad il cui esercito si è dissolto in 10 giorni come neve al sole;
l’idea che gli Usa fossero in crisi profonda davanti all’avanzata dei Brics che rappresentano in fenomeno interessante e degno di nota ma non certo una alternativa sistemica;
l’idea che l’accordo per il cessate al fuoco in Libano rappresentasse la vittoria della Resistenza palestinese e libanese coltivando l’illusione della fine dei bombardamenti di Israele che invece vanno avanti indisturbati;
l’idea, alquanto semplicistica, che i Kurdi fossero divenuti una sorta di quinta essenza dell’imperialismo Usa, disposti ad accordarsi con la Nato per affermare la indipendenza e l’autonomia delle zone da loro occupate in Siria. Ora, senza volere assumere posizioni acritiche e ammettendo anche profonde divisioni e differenze in seno ai Kurdi, questa comoda narrazione stride con la realtà dei nostri giorni e con quanto avviene in Siria, Medio Oriente e Turchia;
che la Russia di Putin per sopravvivere è disposta a compromessi con il nemico anche a mero discapito della autonomia e resistenza dei Popoli di cui si erge, a paladina.
Altre contraddizioni emergono dal ddl 1660 e dai fatti tragici avvenuti nel quartiere Corvetto di Milano.
Riportiamo alcuni fatti scaturiti dalla lettura di commenti, email, post sui social e qualche articolo su riviste e stampa varia nei quartieri popolari esiste una emergenza sicurezza (come ripetuto fino alla noia dai media e dalle destre) l’immigrazione incontrollata ha minato gli equilibri sociali all’interno dei quartieri popolari chi non si ferma all’alt delle forze dell’ordine è cagione del suo stesso male.
Queste narrazioni hanno origini lontane, nel perbenismo dominante nel PCI di fine anni ottanta che i fenomeni immigratori non comprese e non volle analizzare pensando di svolgere in eterno un ruolo di mediazione e di sintesi nel conflitto sociale, ruolo per altro tramontato con la svolta dell’Eur e il compromesso storico del decennio precedente.
Davanti al ddl 1660 queste aree comuniste sono state prevalentemente assenti o comunque a rimorchio di realtà sociali e sindacali conflittuali che sulla loro pelle vivono direttamente le politiche repressive e securitarie al contrario dei pantofolai marxisteggianti che il conflitto non praticano e ormai non conoscono invocando, come panacea di tutti i mali, la rinascita dell’ennesimo ectoplasma che definiranno partito.
Sia lungi da noi generalizzare concetti o attribuire patenti di legittimità ma ogni lettura ideologica della realtà internazionale e interna si dimostra del tutto incapace di interpretare i cambiamenti adoperando direttamente il corpo militante nei processi di cambiamento o nella mera costituzione di una opposizione sociale.
Il mondo comunista non ha fatto i conti con la stagione degli anni Settanta, con la stagione della lotta armata o le legislazioni emergenziali e quindi è sostanzialmente incapace di leggere le contraddizioni odierne percependo la gravità dei processi repressivi e securitari celatisi dietro al ddl 1660. Per lo stesso motivo i comunisti con le pantofole vedono le rivolte nelle nostre banlieu come fenomeni da reprimere, non conoscono le contraddizioni reali dei quartieri, i sacchi urbanistici, la speculazione immobiliare, guardano la realtà con la classica lente ideologica pensando di piegarla a regole precostituite e funzionali alla loro sopravvivenza quando invece sono, da lustri, degli autentici morti che camminano.
Da qui l’odio verso i ribellismi giovanili, la pretesa di dettare la corretta linea alla classe lavoratrice quando si è del tutto estranei alle dinamiche sindacali e fuori da ogni luogo della produzione (è fin troppo facile parlare male della concertazione quando poi scopri le influenze nefaste di quelle pratiche sono nel dna di tanta forza lavoro), la estraneità dai movimenti reali.
Poi, a ragion veduta, bisogna pur riconoscere l’altra faccia della medaglia, ossia quanti esultano acriticamente davanti a ogni sommossa giudicandola premessa di un processo antagonista e rivoluzionario alle porte.
Certi comunisti sono probabilmente più Pasoliniani di Pasolini: pensare che in fondo le forze dell’ordine abbiano molte ragioni significa dipingerle come vittime sacrificali senza mai guardare a quanto avviene da anni nei quartieri, ai cancelli dei magazzini della logistica, occultare perfino fatti di cronaca e inchieste della Magistratura. Insomma la questione resta ben più complessa e non si tratta di assumere posizioni pregiudizialmente favorevoli o contrarie alle forze dell’ordine ma piuttosto criticare alla radice il panpenalismo, le logiche securitarie, nutrire il beneficio del dubbio, ricordarsi almeno degli effetti nefasti della legislazione emergenziale per evitare in futuro di cadere nelle stesse trappole. Sul Corvetto invece settori cattolici si sono dimostrati assai più avanzati, in termini democratici, e lucidi di tanti comunisti e per questo hanno in cuor loro assunto posizioni arretrate, nostalgiche dei bei tempi andati (quando il Pci era in tutti i quartieri) e alla fine portano acqua alla cultura di destra che trasforma i problemi sociali in ordine pubblico. E la parabola di qualche comunista presente alla festa di Atreju dovrebbe indurci a qualche riflessione…
Grande è allora il disordine sotto il cielo ma la situazione non è eccellente, anzi piuttosto catastrofica.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte e del link originale.