Il vertice di Kazan e la finanza dei BRICS+

Atti del seminario “Il ruolo del Brics+ nella transizione verso l’ordine multipolare”. Relazione del dr Raffaele Picarelli del 19 novembre 2024.

Atti del seminario “Il ruolo del Brics+ nella transizione verso l’ordine multipolare

Il vertice di Kazan e la finanza dei BRICS+

 Relazione del dr Raffaele Picarelli del 19 novembre 2024

Tra i numerosi temi che i Brics+ hanno elaborato nel vertice di Kazan un importante rilievo assume la messa a punto del “Brics Cross Border Payments Initiative” (BCBPI).

Si tratta di una piattaforma di messaggistica finanziaria alternativa di cui i sistemi bancari dei paesi membri dei Brics si avvarranno per espletare le transazioni intra-brics denominate in valute locali.

Quindi con l’avvento dei Brics e della creazione di una loro piattaforma dei pagamenti per i commerci internazionali, si è delineata una nuova struttura alternativa allo Swift, che ha come valuta di riferimento il dollaro USA, utilizzato come moneta di riserva mondiale essendo anche la più usata per gli scambi internazionali.

Questo ha conferito agli USA il potere di utilizzare il circuito Swift anche come strumento di pressione geopolitica. Swift è l’acronimo che sta per “Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications”.

Si tratta di un fornitore di servizi con sede legale in Belgio che è stato creato nel 1973 con il compito di gestire gli ordini di pagamento raggruppando 11mila organizzazioni finanziarie e bancarie di oltre 200 paesi e Territori.

Il codice Swift è quello su cui viaggiano i messaggi con le istruzioni per trasferire fondi ed è quello che vediamo quando disponiamo un bonifico.

La Russia, esclusa dal Swift, ha un suo circuito di pagamento nazionale, il MIR, che intermedia una parte consistente delle transazioni elettroniche in Russia. È un sistema che funziona solo all’interno.

La Cina ha un suo corrispettivo del sistema Swift che si chiama CIPS a cui guardano le banche russe. Acronimo di “Cross-Border Interbank Payment System”, CIPS è un sistema di pagamento sviluppato nel 2015 dalla Cina e utilizzato principalmente per regolare le transazioni internazionali in yuan e i commerci legati alla “Belt and Road Initiative”.

Al 2022 il CIPS ospitava 1200 istituzioni finanziarie locali di 100 paesi, di cui una ventina russe[1].

Quindi, passaggio importante nella dichiarazione del vertice di Kazan è quello relativo alla diffusione di strumenti di pagamento autonomi, trasparenti e indipendenti dal circuito bancario statunitense e la volontà di promuovere un consolidamento delle reti bancarie dei paesi Brics e la diffusione della loro valuta nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie, al fine esplicito di evitare un processo di mera transizione egemonica dal dollaro ad altra valuta parimenti dominante.

Il progetto della valuta comune

È poi affiorata, a Kazan e anche prima, l’idea keynesiana del BANCOR che i Brics sembrerebbero porre a fondamento di una valuta R5, dalle iniziali di reais, rublo, renmimbi, rupia e rand, rispettivamente le valute ufficiali di Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica.

Sembra sia emersa a Kazan una convergenza di vedute sulla prospettiva di introdurre un’unità di conto sovranazionale che potrebbe ricalcare la formula dell’ECU (European Currency Unit), la moneta scritturale entrata in vigore nella Comunità Economica Europea (Cee) alla fine degli anni Settanta e rimasta in vigore fino all’introduzione dell’euro.

In una prospettiva, alternativa al dominio del dollaro per i mercati regionali o per aree definite, si pongono le Istituzioni multilaterali che stanno venendo alla luce.

Pertanto, uso delle valute nazionali in prospettiva verosimilmente “asset backed” (garantite da asset, vedi sotto) negli scambi tra paesi, tendenza alla creazione di una valuta comune, sempre “asset backed”, non solo per i pagamenti ma anche per mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti dei paesi dell’area comune, quella dei Brics.

Per dedollarizzazione si intende, tra le altre cose, la tendenza al progressivo declino del dollaro e della sua architettura finanziaria nel mondo e la faticosa, progressiva nascita di un nuovo sistema monetario internazionale in cui le valute tendono a diventare “asset backet”, cioè “garantite” da asset reali quali l’oro, il petrolio, l’argento, il litio, il palladio, il silicio. Un sistema monetario tendente alla creazione di moneta in base ad asset reali.

Non si potrà creare moneta “ex nihilo”, cioè senza un sottostante, cioè moneta “fiat” senza alcun sottostante se non la potenza militare ed economica di un paese, come è stato fatto per oltre cinque decenni da USA e UE.

Il processo dei Brics sembra tendere a una moneta comune ma non unica, cioè una moneta comune concorrente, aggiuntiva, dedicata agli scambi internazionali che consentirebbe di mantenere una certa sovranità in materia di tassi e, per certi versi, di cambio.

La piattaforma per gli scambi non solo commerciali nelle valute locali indipendente dal Swift, come detto, all’inizio, è secondo alcuni, in primis Guido Salerno Aletta, il primo passo per rendersi autonomi e per misurare il peso e il valore delle singole valute: un processo simile a quello accaduto in Europa nel 1972 in ordine al “serpente monetario”, poi SME (Sistema Monetario Europeo). Tale processo era stato innescato dalla proclamazione unilaterale USA di inconvertibilità del dollaro in oro del 1971, decisione alla quale corrispose una violenta rivalutazione delle monete europee e dello yen.

Il serpente monetario rappresentò la reazione per evitare di essere esposti come singole economie, come singole valute, alle decisioni USA in una sorta di coordinamento di alcuni paesi e alcune valute europee rispetto al dollaro.

Ritornando alla similitudine dell’ECU (paniere di monete, asset backed?), ciò segnala la volontà dei Brics di non procedere verso una nuova valuta egemonica (per esempio yuan).

Anche la Cina non è d’accordo su una nuova valuta egemonica sostitutiva per varie ragioni, la prima delle quali è che essa aprirebbe la strada a una deindustrializzazione.

Prima degli Stati Uniti, l’esempio più noto di una valuta nazionale assunta al rango di moneta mondiale è la Sterlina della fase tardo-imperiale britannica. Il Regno Unito era in deficit commerciale. Sua principale creditrice era l’India, ma sopperiva con gli afflussi di capitale verso Londra dovuti ai noli marittimi e alle assicurazioni.

Alla struttura commerciale deficitaria è connessa l’immissione di moneta che consente il mantenimento del commercio in quella valuta.

Lo stesso principio è valso per gli Stati Uniti che sono un paese strutturalmente deficitario dal punto di vista della bilancia commerciale e anche (a differenza del Regno Unito) dal punto di vista della bilancia dei pagamenti correnti.

Tale processo è conosciuto come “dilemma di Triffin”. Robert Triffin, ispiratore dell’Unione Monetaria Europea, si rese conto che un sistema monetario internazionale fondato sulla moneta di uno stato avrebbe portato con sé una contraddizione che ne avrebbe minato la solidità. Egli sostenne che, se una valuta nazionale viene utilizzata come mezzo di finanziamento degli scambi commerciali, è necessario che il paese che la emette abbia un deficit strutturale nella bilancia dei pagamenti, una condizione che, nel lungo periodo, avrebbe indebolito la fiducia nei suoi confronti.

L’egemonia declinante del Dollaro

Apriamo a questo punto una parentesi sul dollaro.

Sino alla fine degli anni Sessanta gli USA erano creditori netti del mondo, con un saldo commerciale attivo (grafico 1) e con un debito pubblico interno piuttosto basso.

Grafico 1: saldo della bilancia commerciale Usa fra il 1895 e il 2015

La fine della ricostruzione post-bellica porta al declino del regime fordista. La produttività del lavoro comincia a decrescere, i ritmi di crescita ristagnano: crisi dell’accumulazione reale. La fine del trentennio d’oro del capitalismo (I trent’anni gloriosi: 1945-73) porta alla fase successiva nella quale le funzioni allocative spettano ai sistemi finanziari e la ricerca dei profitti si rivolge prevalentemente alla finanza.

L’eccedenza di capitale monetario e di dollari in possesso dei paesi in avanzo strutturale nella bilancia dei pagamenti (Germania, Giappone, Francia, Italia) in uno con il forte indebitamento interno ed esterno degli USA per effetto delle spese colossali della guerra in Vietnam, portarono allo snodo del 1971.

La parità tra dollaro e oro fissata a Bretton Woods non era più sostenibile per lo squilibrio crescente tra la massa, crescente, di dollari in circolazione e le riserve d’oro USA.

Si entra nell’era dei cambi fluttuanti e della crescita imponente della finanziarizzazione.[2]

Si verifica l’inversione della bilancia delle partite correnti USA, dopo il 1976 (grafico 2).

Ma il signoraggio del dollaro continua: alla fame di dollari del trentennio precedente per l’unica valuta convertibile in oro, segue, con l’accordo OPEC/USA dell’ottobre 1973, la fame di dollari perché valuta di regolamento internazionale del petrolio, gas e derivati, indispensabili all’economia globale. Tutto ciò, viene detto, in cambio di sicurezza.

Gli USA cominciano a deindustrializzarsi e a trasferire impianti e tecnologie altrove (soprattutto Cina).

Si crea un’equazione strategica tra la creazione di dollari come valuta di riserva internazionale e il debito interno ed esterno degli USA.

La creazione pressoché illimitata di dollari e l’emissione su larga scala di Treasury bond (titoli del Tesoro) USA risponde da un lato alla richiesta mondiale di dollari e dall’altro trova una fonte di finanziamento stabile del debito statunitense.

Gli USA, importatori netti di merci del resto del mondo, possono acquistare con facilità le valute estere in cui devono regolare il proprio import, perché i paesi esportatori comprano dollari per regolare i propri acquisti di petrolio e collocare le proprie liquidità in investimenti prevalentemente finanziari in dollari.

La posizione finanziaria netta sull’estero degli USA sintetizza la condizione debitoria complessiva del sistema economico del paese (Net International Investment Position o NIIP).

Una posizione netta passiva configura il paese come debitore, una positiva come creditore.[3]

Grafico 2: la posizione finanziaria netta sull’estero degli USA dal 1976 al 2015

La peculiare situazione cinese

Ma la Cina è un paese con una situazione completamente opposta. È un paese in forte avanzo commerciale.

Nell’ultimo periodo, la Cina ha fortemente ridimensionato l’entità di T bond in suo possesso.

Nonostante abbia ridimensionato il suo avanzo commerciale cercando di sostenere la crescita attraverso la domanda interna, non è in condizione di replicare questo meccanismo di creazione di moneta internazionale, immaginando che lo yuan sostituisca le altre valute nell’ambito dei Brics.

Come è possibile costruire un’architettura simile a quella del dollaro per un paese strutturalmente in avanzo? Come si fa a creare una valuta internazionale sostitutiva del dollaro in questa area (Brics) se la Cina è un paese che vende più di quanto compra e quindi è creditore nei confronti del resto del mondo e quindi assorbe valuta che deve poi reimpiegare in qualche modo?

Ecco perché, in una valuta comune “R5″, il sistema dovrebbe essere ben diverso nel senso che l’organizzazione delle cinque banche centrali dei paesi fondatori dei Brics dovrebbe emettere titoli espressi in R5, titoli che verrebbero sottoscritti dalle singole banche centrali, le quali assumerebbero in sé come attivo questi titoli che, a questo punto, verrebbero convertiti in R5 digitali.

Ora, non c’è qui un paese debitore verso il resto del mondo, che emette di per sé moneta per alimentare il commercio e la finanza, ma sono le singole banche centrali che, anziché creare la propria moneta ed erogarla ai propri rispettivi sistemi bancari, sottoscrivono dei titoli emessi in R5 da questa organizzazione delle singole banche centrali e quando prestano denaro ai propri sistemi bancari anziché prestare le proprie valute prestano R5.

Un’accumulazione costante e strutturale di crediti da parte di alcuni paesi crea una sorta di colonialismo insieme commerciale e finanziario (cfr. Grecia).

Dal 2000 la Germania, Taiwan, la Cina hanno accumulato migliaia di miliardi di attivo finanziario. Quindi ci sono creditori finanziari e debitori finanziari. Questa situazione nel lungo periodo è insostenibile.

Avere un sistema equilibrato da un punto di vista commerciale, quindi un sistema che evita l’accumulazione di avanzi strutturali e disavanzi strutturali è quello che aiuta la pace e la cooperazione.

Non ci possono essere paesi sempre creditori e paesi sempre debitori.

Il sistema della liquidità internazionale, se basato su un centro imperiale che costruisce la liquidità attraverso il debito, è un sistema insostenibile.

Oro e borsa merci

A Kazan si è inteso sganciare l’oro, il grano e altre materie prime quotate (commodity) dai meccanismi finanziari delle borse (operazioni a termine), e così sganciare la determinazione dei prezzi delle commodity dalla componente speculativa, e passare alla determinazione reale del loro prezzo.

Adesso il loro prezzo è quello speculativo delle borse occidentali: per esempio, i contratti sull’oro cartaceo (certificati per l’oro) non rispecchiano assolutamente il valore dell’oro fisico (grafico 3). Vi è una proliferazione dei titoli finanziari, tra 50 e 100 cartacei su un’oncia di oro fisico.

Grafico 3: quotazione dell’oro dollari/oncia dal 1970 ad oggi

Raffaele Picarelli

Firenze, 19 novembre 2024


[1] La Cina si è collocata come principale partner commerciale dell’Arabia Saudita e maggiore acquirente di petrolio. L’Arabia Saudita fornisce alla Cina il 18% del suo fabbisogno energetico e sta aumentando gli ordini di attrezzature petrolchimiche, industriali e militari, che in precedenza provenivano in gran parte dagli USA. L’Arabia Saudita è il principale fornitore di petrolio alla Cina: nel 2022 la Cina importato 1,75 milioni di barili al giorno di greggio saudita. Le transazioni sul petrolio avvengono in yuan. Gli yuan incassati sono in buona parte reimpiegati in Cina. Si è creato un rapporto economico stabile tra i due paesi.

A partire dal luglio 2022 l’India ha introdotto un meccanismo di arbitraggio per il commercio internazionale incentrato sulla rupia. Cinque paesi dell’Asean si sono accordati per un sistema di pagamento che bypassi il dollaro. La Turchia si è accordata con la Russia per pagare il 25% delle forniture russe di gas in rubli. Accordo Cina/Iran di acquistare petrolio dall’Iran con l’impegno della Cina di investire 400 miliardi nell’economia iraniana.

[2] Il debito pubblico degli Stati Uniti d’America è il debito contratto dallo Stato federale degli Stati Uniti e dalla pubblica amministrazione a livello locale. A dicembre 2023, il debito pubblico totale ammontava a 33.100 miliardi di dollari, ossia oltre il 130% circa del Pil nazionale e circa 7 volte le entrate fiscali. Superati i 34 trilioni di dollari nel gennaio 2024, siamo ora a circa 36 trilioni, con interessi sul debito di 1.100 miliardi annui (all’inizio della presidenza Biden erano 500 miliardi).

Il debito pubblico detenuto da privati era pari a 26.500 miliardi di dollari, circa il 100% del Pil nazionale. Quindi, il debito pubblico statunitense (chiamato “national debt”, “public debt”) si compone sia del debito contratto dal governo federale e dall’amministrazione centrale (“federal debt”) sia dei debiti pubblici contratti dei singoli stati federali (“state debt”) che dalle contee e altre amministrazioni locali (“local debt”). Il debito pubblico USA si divide altresì in due sottoinsiemi a seconda di chi lo detiene: una parte, la più importante, è detenuta da privati (“debt held by the public”) e un’altra parte che è detenuta da vari enti pubblici (“intergovernamental debt”). L’ufficio di bilancio del congresso (CBO) si occupa di redigere rapporti e sul debito e sul bilancio dello Stato ogni anno. Il debito pubblico può essere aumentato solitamente entro un tetto massimo (“debt ceiling”) stabilito per legge dal Congresso. Il debito USA ha goduto di un rating AAA dal 1949 al 2011. Poi ci sono stati due downgrade (estate 2011 e agosto 2023).

Il debito pubblico è per il 70% nelle mani di residenti in USA e per il 30% di residenti all’estero. Ma quel 70% non è in possesso dalla Federal Reserve, che ha solo il 15%, bensì è nel portafoglio dei grandi fondi, che trasferiscono in USA il risparmio europeo.

[3] Importante è esaminare un dato che sintetizza la condizione debitoria complessiva del sistema economico di un paese. Mi riferisco alla posizione netta sull’estero (Net International Investment Position o NIIP). Essa registra la consistenza di attività e passività finanziarie nei confronti di soggetti non residenti nel paese. È un dato di stock, misurato ad una data prestabilita e influenzato sia dall’andamento nel tempo del saldo delle partite correnti, sia dalla fluttuazione del cambio della moneta nazionale. Una posizione netta passiva configura un paese come debitore, una positiva come creditore.

I dati a fine 2021 (in miliardi di dollari) dei principali undici debitori e creditori mondiali rilevavano il precipizio debitorio che caratterizzava gli Stati Uniti: il paese nordamericano totalizzava 18.101 miliardi di dollari di debiti verso il resto del mondo! Si trattava di un importo pari al 78,7% del Pil USA. Ora, nel 2024, la posizione finanziaria netta è salita a 22mila miliardi di dollari. In questo valore si legge l’accumularsi, a partire dal 1976, di costanti saldi commerciali negativi (grafico 1). Tra i paesi creditori spicca la Cina (inclusa Hong Kong) seguita da Giappone e Germania. Si tratta di paesi industriali con ampia base manifatturiera.

Fino ad ora tale squilibrio è stato reso “sostenibile” dal signoraggio del dollaro. Ma lo scontro di questi ultimi anni tra l’Occidente collettivo e Russia e Cina sta minando il predominio del dollaro USA, quantomeno nella denominazione dei prezzi di una rilevante quantità di materie prime.

E ciò rappresenta un colpo e una sfida all’architettura finanziaria che ha sostenuto il pesante squilibrio commerciale degli Stati Uniti per oltre 48 anni.

Da un punto di vista teorico vi sarebbero due strade per affrontare il problema: 1) riportare sotto controllo la bilancia commerciale degli Stati Uniti, diminuendo le importazioni e aumentando le esportazioni; 2) prevedere la svalutazione del dollaro, operazione intesa a riportare in parità gli aggregati patrimoniali sottostanti la posizione netta sull’estero.

Per quanto riguarda il primo punto, nonostante le guerre commerciali esplicite o implicite (ad esempio i dazi doganali, il diesel gate) non si vedono risultati significativi. Occorrerebbe rivoluzionare il sistema produttivo americano, con rilevanti effetti anche sulla distribuzione dei redditi. E ciò non può appartenere all’agenda USA. La finanziarizzazione, l’età del capitalismo della finanza, imperniata sull’indebitamento pubblico e privato, non consente dopo cinquant’anni marce indietro. Nonostante i disperati tentativi degli ultimi anni, quale l’”Inflation Reduction Act” dell’agosto 2022.

Per quanto riguarda il secondo punto, di quanto occorrerebbe svalutare il dollaro per riportare in equilibrio la posizione netta degli Stati Uniti? Poiché il NIIP misura la differenza tra gli asset esteri posseduti dagli USA e gli asset Usa detenuti dai non residenti, i primi saranno espressi in monete diverse dal dollaro e i secondi espressi in dollari. Lo sbilancio predetto di 18.101 miliardi di dollari è il frutto di passività USA per 53.312 miliardi e attività USA all’estero pari a 35.211. Quindi per ridurre i 53.312 miliardi di dollari ai 35.211 espressi in valute di altri paesi occorrerebbe una svalutazione del dollaro pari al 34%! Un deprezzamento di questa entità, che provocherebbe sconvolgimenti al momento non del tutto prevedibili nel mondo finanziario ed economico, sarebbe a tutti gli effetti un default.

Quali implicazioni concettuali derivano da tutto questo? Ne deriva che le dimensioni e la struttura stessa dell’economia statunitense non sono più tali da consentire agli USA il predominio mondiale esercitato fino ad oggi. Gli USA non sarebbero in grado di reggere un progetto infrastrutturale come le Nuove vie della seta (BRI), 13 volte più grande del Piano Marshall.

La struttura economica USA è agli antipodi: è finanziaria. Anche le imprese non finanziarie sono finanziarizzate. Nuovi equilibri planetari si stanno profilando. La sfida lanciata dalla Russia e dalla Cina al dominio USA e alla dittatura del dollaro non è così avventata come potrebbe sembrare a prima vista.

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About Andrea Vento

Andrea Vento, docente di geografia economica presso l’Istituto Tecnico Commerciale «Antonio Pacinotti» di Pisa, si è laureato nel 1988 presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pisa con corso di laurea in geografia e tesi in geografia economica. Appassionato di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare predilezione per il Medio Oriente e l’America latina, ha focalizzato le proprie ricerche e la propria attività sull’analisi di specifiche tematiche di carattere geoeconomico e geopolitico. Al centro del suo lavoro vi è il tentativo di ampliare - tramite scritti e conferenze - la conoscenza di particolari sfere economico-geografiche del mondo attuale. Nel 2013 - assieme ad alcuni colleghi - ha fondato il GIGA (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati).