Una manovra di bilancio che penalizza i ceti medi?

Il governo Meloni respinge patrimoniale e salario minimo, privilegiando la detassazione. La manovra di bilancio introduce nuove aliquote IRPEF e tagli al cuneo fiscale, ma suscita critiche per l’aumento delle disuguaglianze e la mancata riforma della progressività fiscale.

Il governo Meloni ha scartato ogni ipotesi di tassazione dei grandi capitali e delle plusvalenze, dichiarandosi in sostanza contrario alla progressività della tassazione, che necessiterebbe di tante aliquote fiscali quante ne esistevano dal dopoguerra a metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Al contempo, il Governo ha rifiutato di introdurre il salario minimo, nascondendosi dietro le obiezioni del Cnel ma senza mai fornire atti di indirizzo alla contrattazione di secondo livello, demandata invece alla libera (e quindi assente) iniziativa delle associazioni datoriali. Oggi l’Italia è uno dei pochi Paesi UE dove non esiste il salario minimo e dove ogni ipotesi di patrimoniale viene tacciata come misura di aperta ostilità alle imprese e al libero mercato.

Le critiche alla manovra di bilancio arrivano timidamente da settori padronali e assai più forti dai sindacati, non tutti, che hanno proclamato lo sciopero generale del 29 novembre.

Tra le obiezioni alla manovra di bilancio, ne troviamo una degna di nota: si contesta all’esecutivo di centrodestra l’introduzione di misure tali da penalizzare il ceto medio.

Ad oggi ci sono tre aliquote per l’IRPEF (23% per redditi fino a 28.000 euro, 35% tra 28.000 e 50.000 euro e 43% per i redditi superiori); a manovra approvata, le aliquote diventeranno sette.

Il quotidiano online LentePubblica riprende l’analisi realizzata dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, secondo la quale i redditi tra 32.000 e 40.000 euro annui avranno una tassazione più alta.

La manovra di bilancio taglia il cuneo fiscale per i redditi fino a 40.000 euro annui; c’è chi rivendica i tagli almeno fino a 60.000 euro, ma il problema di fondo resta ben altro: perché non applicare un criterio rigido e progressivo per le tassazioni? La risposta è semplice: non si vuole toccare i redditi elevati, regalando mance a quelli medio-bassi, ma senza una riforma complessiva del sistema di tassazione. A sorreggere l’impianto della manovra di bilancio resta la cultura della detassazione come antidoto assoluto all’erosione del potere d’acquisto e alla povertà salariale.

L’obiezione riguarda il mix tra bonus e detrazioni, che alla fine imporrebbero ai redditi medi un’aliquota maggiore rispetto ai redditi superiori.

Il taglio del cuneo fiscale parte dalla sforbiciata originaria dei contributi previdenziali per intervenire invece direttamente sul piano fiscale.

I contributi non saranno versati in busta paga come avvenuto fino ad oggi, ma si avvarranno di un bonus fino a 20.000 euro; mentre per quelli tra 20.000 e 40.000 euro ci sarà una detrazione fiscale che decrescerà progressivamente.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio contesta la norma, ipotizzando per un milione di dipendenti penalizzazioni con il nuovo sistema. Insomma, avrebbero minori benefici pagando maggiori imposte. La richiesta è di non prevedere il sesto scaglione al 56%, lasciando quello attuale di 11 punti percentuali inferiori.

La domanda da porci resta un’altra: il sistema di tassazione, in assenza di reale progressività, accresce le disuguaglianze sociali e fiscali?

La risposta è affermativa. Ma dove sta l’inghippo della manovra di bilancio governativa?

Intanto, nel creare un sistema farraginoso, giusto per non realizzare una autentica riforma del sistema fiscale basata su una progressività autentica, ricorrendo a regole semplici e chiare, peraltro suggerite anche dal principio costituzionale di progressività.

Molte critiche hanno obiettivi diametralmente opposti ai nostri: pensano di ridurre ai minimi termini le aliquote fiscali, quando invece dovremmo accrescerle di numero in maniera esponenziale.
Poi ci sono altre obiezioni, alcune delle quali discutibili: ad esempio, che tra crisi economica e aumento dell’inflazione non ci sia bisogno della progressività. Invece siamo certi che questa porterebbe maggiore equità fiscale e sociale, recuperando risorse per il welfare e andando a colpire direttamente le speculazioni finanziarie e i grandi capitali (ma una legge del genere, la patrimoniale, sarebbe invisa al centrodestra e a settori anche dell’opposizione).

A chi parla poi di eccessive pressioni sulle imprese e sulle famiglie, ricordiamo invece un’altra realtà: quella dell’aiuto eccessivo alle aziende e ai redditi elevati. A perdere potere d’acquisto sono i salari medi e quelli bassi, mentre a guadagnare in termini di profitti e di ricchezze sono i ceti elevati. Non sarà allora il caso di aprire un confronto reale sul sistema fiscale in toto?

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte e del link originale.

Avatar di Sconosciuto

About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.