Fermiamo il genocidio e l’escalation di Israele

A proposito dell’assemblea del 9 novembre 2024 a Roma. Fermiamo il genocidio e l’escalation di Israele o riproponiamo vecchie logiche perdenti? La posizione espressa dal sindacato Cub.

Il prossimo 30 novembre si terrà una manifestazione nazionale a sostegno del popolo palestinese dopo l’assemblea del 9 novembre promossa da varie forze, ma in sostanza gestita e costruita dall’area Usb, Potere al Popolo, Rete dei Comunisti e Cambiare Rotta, insieme ad alcuni rappresentanti della comunità palestinese che, poi, sono gli stessi promotori della piazza del 12 ottobre sempre a Roma.

Pubblichiamo la posizione espressa dal sindacato Cub come invito ad aprire il dibattito anche tra comunisti dopo le divisioni avvenute a ottobre con due piazze di fatto contrapposte e in date differenti.

Al contempo, consigliamo la lettura dell’introduzione di Lucio Caracciolo all’ultimo numero di «Limes» ove vengono espresse considerazioni anche non condivisibili ma di rara lucidità. In particolare, «Limes» spiega da dove nasca l’idea del grande Israele esteso dal fiume al mare che indebitamente viene attribuita alla resistenza palestinese come volontà di distruggere l’entità statale sionista. 

Siamo assai preoccupati dalla equiparazione tra antisemitismo e antisionismo e da quanto scrive il Gruppo tecnico di lavoro per la ricognizione sulla definizione di antisemitismo approvata dall’Ihra nato nel 2020 su iniziativa della presidenza del Consiglio dei ministri del nostro Paese.

“Tra le nuove forme di antisemitismo è diffuso l’odio contro Israele, la sua demonizzazione e l’equiparazione con il nazismo. Specie da parte di alcune correnti arabo-musulmane o islamiste o filopalestinesi o di estrema sinistra si nega legittimità allo Stato di Israele e il suo diritto di esistere e si manifesta ostilità verso l’ebreo in quanto tale. Permangono le spiegazioni che attribuiscono tutte le disgrazie dell’umanità a un agente centrale: l’‘ebreo’ ieri, ‘Israele’ oggi. L’incitamento al boicottaggio politico, economico, accademico o culturale viene utilizzato in chiave antisemita da queste correnti”.

È del tutto evidente che antisemita diventa chiunque proponga azioni di boicottaggio delle merci made in Israele come forma, anche non violenta, di solidarietà con il popolo palestinese o quanti smontano la retorica dei kibbutz socialisti parlando esplicitamente di colonialismo da insediamento. Perfino menzionare la riforma costituzionale israeliana, che assegna diritti assoluti agli ebrei a discapito degli arabi e dei palestinesi, diventa non un’osservazione logica improntata alla critica verso uno Stato dove il diritto è bandito; prova ne sia la legislazione speciale vigente nel Paese, la distruzione delle case dove abiti un sospetto terrorista considerato tale non sulla base di un regolare processo ma della detenzione preventiva che imprigiona anche minori per anni senza alcuna prova o l’espulsione dei famigliari dallo Stato di Israele. Così operando, la contrarietà all’ideologia sionista viene considerata come pregiudizio razzista antiebraico.

Sempre nel rapporto sopra menzionato troviamo un altro passaggio eloquente, esempio di antisemitismo: “Negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo”.

In sostanza, antisemiti diventano tutti coloro che criticano la nascita di uno Stato a tavolino costruito sull’espulsione di massa dalle terre e case dei palestinesi e degli arabi, una lettura univoca che decide in partenza chi sta dalla parte della ragione (i sionisti) e quanti invece dalla parte del torto (quanti sono stati espulsi con violenza dalle loro terre e ai quali viene negato il diritto al ritorno, in barba a ogni risoluzione dell’Onu e con il veto Usa). Da anni vengono occupate aree da ebrei provenienti da varie zone del mondo ai quali viene conferita di fatto la cittadinanza israeliana e il diritto assoluto di costruire insediamenti coloniali cacciando manu militari arabi e palestinesi.

L’equiparazione tra antisemitismo e antisionismo è non solo un falso storico ma l’espressione di un diritto assoluto, di Israele, in violazione perfino di quel poco che resta del diritto internazionale. E il fatto che nel parlamento italiano si voglia assumere queste linee guida è un segnale chiaro della volontà di affermare il diritto assoluto di Israele di bombardare e uccidere decine di migliaia di civili distruggendo Gaza e parte del Libano presentando queste scelte come legittima difesa.

Ci fermiamo qui pubblicando il documento nazionale della Cub, che in alcune parti potrà anche non essere condiviso ma aiuta a comprendere anche l’operazione che sta dietro alla manifestazione nazionale del 30 novembre:

“… Inviamo questo contributo alla discussione e alla mobilitazione, ricordando che in concomitanza dell’assemblea romana contro il genocidio drl popolo palestinese, diversi nostri militanti erano in piazza in alcune città contro il ddl 1660 che mira ad agire una repressione preventiva: una trovata del governo Meloni costruita contro quelli che considerano i loro nemici interni, ovvero gli occupanti di casa, i delegati e i lavoratori che organizzano picchetti davanti ai magazzini e ai luoghi di lavoro, movimenti ambientalisti e contro la guerra.

E nel contrastare il ddl è bene fare autocritica per la nostra incapacità di costruire una opposizione seria e diffusa nei luoghi di lavoro e nel Paese.

Da un anno a oggi, i morti tra Palestina e Libano sono arrivati a 50 mila, distrutta Gaza e con essa decine di villaggi in Libano, autentica mattanza di un popolo che dal 1948 è stato espulso dalle proprie case, espropriato di terre e mezzi di sostentamento dal rapace colonialismo israeliano, funzionale anche ai progetti di controllo dell’area dell’imperialismo europeo, anche italiano e americano.

La domanda alla quale rispondere è comunque una: per quale ragione oggi la solidarietà ai palestinesi è più debole del passato?

Le risposte sono molteplici, proviamo allora a delinearne alcune senza pretesa di sostituirci alla resistenza palestinese o calare dall’alto ricette occidentali ed euro/americane centriche:

  • Da 20 anni un militarismo strisciante ha visto la presenza di militari nelle scuole, in tutti i luoghi dell’istruzione, nell’ottica di assuefare le giovani generazioni alla normalità della guerra. Sottotono le mobilitazioni del 4 novembre, un problema che dobbiamo porci collettivamente, ricordando che l’aumento delle spese militari sottrae risorse al welfare e indebolisce i servizi pubblici a vantaggio del privato. Anche per questo come Cub e Sgb abbiamo indetto dal 16.10 u.s. lo sciopero generale per il 29 novembre p.v. (prima che Cgil e Uil decidessero di convergere su quella data) e saremo in piazza il 29 novembre con le altre organizzazioni sindacali che hanno deciso di scioperare (Cobas, AdL Cobas, Sial Cobas, Clap, AdL Varese e Si Cobas), per unire i lavoratori attorno a questa data, mettendo a disposizione le nostre piazze, che non saranno quelle della Cgil o della Uil, per mobilitarci contro la guerra e l’economia di guerra, contro il massacro del popolo palestinese e libanese, contro l’invio delle armi in Ucraina, per il rilancio della sanità pubblica, della scuola e università pubbliche, per i salari e le pensioni, contro il ddl 1660 e il dl lavoro, contro l’autonomia differenziata, contro le discriminazioni di genere nel lavoro e nella società, per contrastare una manovra di bilancio del governo Meloni, che aiuta le imprese detassandole e coloro che hanno redditi alti, aggirando la previsione costituzionale della progressività della tassazione;
  • In questi mesi gli studenti medi e universitari si sono mobilitati al contrario della forza lavoro, non si tratta di rivendicare a ogni singola sigla qualche iniziativa. Nel complesso, oggi dentro i posti di lavoro non esiste risposta di massa alla partecipazione attiva del governo italiano alla guerra, alle logiche militariste che alla fine si traducono nel sostegno al governo israeliano e all’ideologia sionista. Oggi, ormai, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo rappresenta un’arma per deviare l’attenzione pubblica dalla guerra ed equiparare le rivendicazioni del popolo palestinese ad atti di terrorismo. E questo problema non potrà essere eluso con slogan di facciata; 
  • Non è casuale che il documento sulla produttività di Draghi, accolto con favore da buona parte del centrosinistra, parli di accrescere le spese militari e di investire risorse nelle tecnologie duali che rappresentano investimenti pubblici a beneficio delle imprese di morte, piegando la stessa ricerca universitaria a logiche di guerra con l’asfissiante presenza di fondazioni legate a imprese di morte dentro i nostri atenei; 
  • Il dibattito di questo anno ha visto prevalere nell’opinione pubblica una visione eurocentrica, con una lettura di quanto avviene in Palestina ferma a 40 anni fa, dimenticando che gli accordi di Oslo sono divenuti, all’indomani della sottoscrizione, carta straccia anche per l’ignavia dei governi europei, per i veti all’Onu contro il colonialismo di insediamento che ha sottratto terre ai palestinesi, rinchiudendoli nel carcere a cielo aperto di Gaza, oggi completamente distrutta dai bombardamenti israeliani avvenuti con ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma la domanda, ancora una volta elusa, resta quella di cosa possiamo, anzi dobbiamo, fare nel nostro Paese per dare un contributo reale alla fine di questo tragico genocidio che sta assumendo le forme di una vera pulizia razziale;
  • Quello che non dobbiamo fare come sindacati di base e movimenti sociali è prendere le parti di questa o quella parte della resistenza e del popolo palestinese, assumendo, magari, posizioni roboanti che stridono, tuttavia, con l’arretratezza del conflitto in casa nostra, posizioni finalizzate a conquistare l’egemonia di una sigla negli ambienti giovanili, senza per altro far prendere loro coscienza che la lotta contro il nemico in casa nostra è assai complessa ma decisamente arretrata;
  • Ci sentiamo di dire che occorre caratterizzare lo sciopero generale del 29 novembre con alcune parole d’ordine chiare, che rispondano ai reali bisogni della classe lavoratrice italiana e delle masse popolari, ricordando allo stesso tempo che proprio il movimento operaio, nel lungo Novecento, talvolta si è prestato alla propaganda di guerra, sposando i nazionalismi imperanti, legati a doppio filo alle ragioni della guerra, all’imperialismo, alla devastazione coloniale e ambientale avvenuta in molti continenti. Sul finire degli anni Ottanta, in Italia, con le privatizzazioni, è iniziata una lunga fase nella quale sono cresciute le disuguaglianze, in cui il potere di acquisto dei salari e delle pensioni, il potere della contrattazione sono scesi ai minimi termini, anche in virtù di dinamiche di scelte compiute dai sindacati tradizionali che hanno imposto l’austerità salariale e la contrazione degli spazi di democrazia e di libertà nei luoghi di lavoro, come attestano la legge antisciopero (la peggiore in Europa) ma anche i licenziamenti di lavoratori e delegati conflittuali;
  • Pensiamo sia doveroso non sostituirci alla resistenza palestinese ma chiederci cosa possiamo fare noi in Italia per sostenere le istanze di un popolo a cui viene negata l’autodeterminazione e che oggi Israele vuole sterminare per realizzare il suo progetto della Grande Israele, sostenuto dall’imperialismo europeo e americano. Non si tratta di entrare nel merito di quale sia la posizione migliore da assumere come Europa, di questo si occupano i nostri tradizionali nemici di classe. Siamo certi che, unendo le istanze rivendicative e sociali dei lavoratori italiani alla solidarietà attiva con il popolo palestinese, come con gli altri popoli in lotta, si possa offrire una visione del mondo diversa da quella del giornalismo mainstream, per far passare un messaggio chiaro: i soldi destinati alle guerre, alle tecnologie duali non aiuteranno le giovani generazioni a trovare lavoro in una società nella quale la stessa democrazia è divenuta un mero optional o dove lo sfruttamento della forza lavoro diventa imperante. Ben venga una mobilitazione a favore del popolo palestinese ma va costruita ragionando insieme e senza riproporre logiche da cortile, coniugandola allo sciopero generale del 29 novembre, la cui riuscita dovrebbe rappresentare obiettivo comune, visto che la debolezza del movimento operaio, dei precari, degli studenti, non aiuterebbe certo il popolo palestinese. Costruiamo allora la mobilitazione di tutte e tutti a sostegno del popolo palestinese e delle rivendicazioni della classe lavoratrice e delle masse popolari”.

Articolo pubblicato su futurasocieta.com

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte e del link originale.

Avatar di Sconosciuto

About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.