La nuova frontiera del Next Way of Working

La pandemia ha accelerato l’adozione dello smart, ma il suo impatto sulla qualità della vita e sulle dinamiche lavorative richiede un’analisi approfondita. La tendenza all’estensione dello smart al di là delle emergenze evidenzia sfide e contraddizioni, mettendo in discussione il tradizionale concetto di lavoro e le tutele sindacali.

Premessa: la scoperta dello smart

La circolare ministeriale sullo smart è l’occasione per aprire una riflessione, in primis nella Pubblica amministrazione, sul ruolo del lavoro agile concepito ormai come strumento per ridurre i costi e accrescere la produttività del singolo lavoratore o lavoratrice che sia.

Al contempo le difficoltà di conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro spingono molti\e a richiedere prestazioni lavorative in modalità agile anche per non sobbarcarsi ore di viaggio in andata e ritorno tra casa e lavoro. La soluzione sarebbe a portata di mano ossia favorire il lavoro nelle vicinanze di casa con processi di mobilità volontaria ma le regole per gli enti pubblici sono tali da renderlo impossibile e ancor più arduo sarebbe per il settore privato.

In altri tempi sarebbero state cercate soluzioni pur parziali, ad esempio favorire una mobilità sostenibile con utilizzo, a prezzi scontati, dei mezzi pubblici ma la tendenza degli ultimi lustri è invece ben altra: tagli delle corse di tram e bus, riduzione dei servizi su rotaia con la eliminazione dei cosiddetti rami secchi ossia i treni pendolari a unico vantaggio dell’alta velocità. Queste considerazioni si rendono necessarie per inquadrare la tematica del lavoro agile dentro un contesto reale, dovrebbe essere non una sorta di cottimo mascherato ma di opportunità per migliorare la qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori ma avrebbe bisogno di essere sostenuta dal potenziamento dei servizi pubblici e dalla loro accessibilità a prezzi scontati.

Da quando hanno introdotto il dogma del pareggio di bilancio ogni ente pubblico o privato mira al contenimento dei costi, siamo davanti a un welfare ormai ridotto ai minimi termini dopo anni di tagli e ridimensionamenti fatti passare come razionalizzazione della spesa.

Con l’avvento della pandemia si è fatto ricorso allo smart la cui prima regolamentazione risaliva tuttavia a qualche anno prima, opinione diffusa è stata quella di contenere i danni evitando i rischi di contagio con il lavoro a casa visto anche che la PA, nel suo complesso, aveva palesato innumerevoli limiti nella riorganizzazione del lavoro in una fase eccezionale come quella derivante dal coronavirus.

Smart e pubblica amministrazione

Da quando hanno introdotto il dogma del pareggio di bilancio ogni ente pubblico o privato mira al contenimento dei costi, siamo davanti a un welfare ormai ridotto ai minimi termini dopo anni di tagli e ridimensionamenti fatti passare come razionalizzazione della spesa.

Con l’avvento della pandemia si è fatto ricorso allo smart la cui prima regolamentazione risaliva tuttavia a qualche anno prima, opinione diffusa è stata quella di contenere i danni evitando i rischi di contagio con il lavoro a casa visto anche che la PA, nel suo complesso, aveva palesato innumerevoli limiti nella riorganizzazione del lavoro in una fase eccezionale come quella derivante dal coronavirus.

Il ricorso allo smart è stato conveniente per le amministrazioni pubbliche, in molti casi hanno risparmiato su indennità contrattuali, sugli straordinari, sui costi delle mense e dei buoni pasto, sulle pulizie degli uffici abbattendo i costi delle sanificazioni, il lavoratore in modalità agile è isolato e la natura individuale del rapporto permette di ottenere un aumento delle prestazioni anche in deroga ai profili professionali per quanto ne dicano i sindacati rappresentativi.

Quanto poi al ricorso alla disconnessione, è ormai evidente che un diritto formale non si traduce mai in sostanza essendoci liste whatsapp aziendali e pressioni dirigenziali per ottenere prestazioni sempre maggiori.

Da strumento emergenziale il lavoro agile è divenuto ordinario perchè in molti casi è apparso come soluzione migliore per accrescere la produttività, ridurre i costi ed evitare il coinvolgimento, residuale, del sindacato nella gestione dei rapporti di lavoro, poi ci sono comparti della Pa nella quale il lavoro in presenza è ancora insostituibile anche per gli scarsi investimenti in materia di formazione e tecnologia.

Il graduale “rientro in presenza” dei lavoratori ha senza dubbio riportato alla normalità la gestione degli uffici ma anche aperto alcune contraddizioni, ad esempio, laddove il lavoro agile è apparso come conveniente per i datori e le amministrazioni o indispensabile per i fragili onde evitare contenziosi legali in caso di malattie gravi non avendo nel frattempo riorganizzato spazi e uffici per salvaguardare la forza lavoro con problemi di salute.

La natura individuale del rapporto di lavoro agile è un altro tassello utile per comprendere come lo strumento sia stato utilizzato anche in veste antisindacale per un rapporto diretto dei superiori con la forza lavoro, insomma se vuoi lavorare in smart devi anche sobbarcarti di crescenti carichi di lavoro a meno che tu non sia, fino ad oggi almeno, un fragile certificato.

E nel caso dei fragili il senso di colpa per avere ricevuto un trattamento “di favore” ha spinto molti e molte ad accettare carichi di lavoro crescenti e mansioni talvolta riconducibili a livelli superiori, ovviamente senza un euro in più di stipendio.

E qui è arrivato il carattere estensivo dello smart da forma specifica di tutela per i lavoratori “fragili” a strumento da utilizzare in molti altri casi, ad esempio per chi ha figli piccoli e anziani a carico, per quanti con lunghi spostamenti tra casa e lavoro nel periodo invernale corrono il rischio di ammalarsi e perdere giornate lavorative e conviene farli lavorare da casa dove le possibilità di ammalarsi nei mesi invernali sono decisamente inferiori.

Pochi hanno riflettuto sulla riduzione delle giornate di malattia, dei permessi individuali per chi opera in smart, il sindacato non si posto mai domande mentre le Pubbliche amministrazioni hanno capito da subito la convenienza del lavoro agile.

Si va allora prefigurando un nuovo smart, da strumento eccezionale a volano della flessibilità e della produttività con un sistema normativo che rende sempre più ricattabile e subalterna la forza lavoro. E non siamo noi a utilizzare queste parole, ossia flessibilità e produttività, le troviamo scritte nella circolare Ministeriale!

Siamo davanti a tutele spesso formali ma non sostanziali demandando ai vertici di ogni singola amministrazione il compito di adeguare le disposizioni interne per applicare la direttiva ministeriale nell’ottica di accrescere le prestazioni e la flessibilità, di ridurre i costi e alla fin fine anche il salario

Negli anni pandemici chi operava in smart perdeva i buoni pasto e in molti casi anche la erogazione di istituti contrattuali, una rimessa economica compensata con minori rischi di ammalarsi, nel corso del tempo la modalità agile è stata pensata e costruita con fini non emergenziali e funzionali ad accrescere la produttività individuale.

E le normative contrattuali sulla disconnessione sono state solo un paravento dietro cui celare la incapacità di comprendere, da parte sindacale, i processi di ristrutturazione in atto e un sostanziale attacco alle condizioni lavorative da parte di una Pubblica amministrazione sempre più attenta al risparmio a mero discapito della qualità delle nostre vite e dei servizi erogati alla cittadinanza.

Lo smart e i luoghi tradizionali della produzione: uno sguardo al privato

In nome dello smart working stanno stravolgendo i luoghi tradizionali della produzione, se ne accorgono non i sindacati ma Il Sole 24 Ore che parla di un complessivo ridisegnamento delle strutture adibite ad uffici e investimenti.

Emblematico è quanto riporta un articolo del quotidiano di Confindustria laddove scrive: “ A Milano Deutsche Bank riduce la superficie della sede del 40%; UniCredit subaffitta gli oltre 20 piani della Torre B in piazza Gae Aulenti; Bnp cerca coinquilini”

Lo smart non è ovviamente estendibile a tutta la produzione ma si va facendo strada in alcuni settori il progetto di abbattere i costi degli affitti, delle pulizie, interagire singolarmente con il lavoratore a cui assegnare carichi di lavoro e mansioni crescenti.

Il Sole 24 Ore del 21 Gennaio scrive:  Su 6,6 miliardi di euro di investimenti immobiliari, in Italia nel 2023 (-44% sul 2022) – informa Cbre – il comparto uffici ha chiuso attorno a 1,2 miliardi, in calo del 74% rispetto all’anno precedente.

Detto in altri termini stanno estendendo il lavoro a progetto al posto di quello subordinato o almeno ci provano, ben presto le normative giuslavoristiche potrebbero adattarsi ai cambiamenti con norme peggiorative e in sostanza minori tutele individuali e collettive.

La tendenza al lavoro a progetto si spiega con la volontà di ridurre complessivamente i costi di produzione accrescendo la produttività, nella spasmodica ricerca di ridimensionare o ripensare il carattere subordinato del rapporto di lavoro all’insegna del dipendente flessibile, isolato, altamente produttivo e ove serva smartizzato.

Al contempo esistono anche altre spiegazioni, ad esempio la flessione degli investimenti immobiliari che ha riguardato nel 2023 il settore degli uffici, da qui la necessità di alcune grandi aziende di ridefinire gli spazi prevedendo dei luoghi di lavoro ove potremmo talvolta trovare dipendenti con più datori, dipendenti collegati a un pc e senza alcuna relazione tra loro, lavoratori tanto desindacalizzati quanto alienati.

Le aziende vogliono risparmiare sui costi, se possono intensificare i profitti ogni azione è lecita incluso il ridimensionamento delle sedi aziendali costruendo relazioni individuali dei datori con la loro forza lavoro.

La trasformazione dei luoghi di lavoro diventa un obiettivo raggiungibile sapendo che si porterà dietro la riduzione della conflittualità, la perdita di potere contrattuale dei sindacati, la ricattabilità della forza lavoro occultata dietro alla cortina fumogena del novismo, prestazioni erogabili in ogni momento e in presunta libertà e, secondo narrazioni mainstream, in qualche luogo ameno. La formalità del diritto alla disconnessione si scontra inevitabilmente con l’estensione dei tempi di lavoro a discapito di quelli di vita.

Si va facendo strada l’idea che si possa far coesistere tanti lavoratori e lavoratrici in luoghi provvisori, disposti a cambiare sede con estrema rapidità introiettando nella attività lavorativa e nelle loro stesse vite le pratiche improntate alla massima flessibilità e produttività.

La cultura del merito è smart, priva di riferimenti reali ai luoghi di produzione, lo ripetiamo per non generalizzare il ragionamento, non è valido per tutte le prestazioni lavorative ma solo per una minima parte che poi oggi risulta quella maggiormente appetibile.

In Germania o in Francia hanno ridotto,  alcune multinazionali, del 40 o 50% gli spazi aziendali, la pandemia che ha obbligato molti\e al lavoro  alla prestazione in smart ha reso possibile questa ottimizzazione, usiamo un termine diffuso ma non neutro,  ottimizzazione degli spazi e dei costi con l’azienda  che sta ripensando ai luoghi di lavoro non per renderli migliori e sicuri, evita solo di farsi carico di ogni spesa giudicata superflua proponendo modalità  lavorative flessibili, agili e cottimi mascherati.

In Italia Unicredit è all’avanguardia in questi processi, sono stati svuotati uffici accorpandone altri, si sono sostanzialmente ridotti spazi e sedi in attesa magari di costruire un nuovo campus. Ma è proprio il settore bancario quello dove registriamo anche la riduzione, a parità di salario, della settimana lavorativa insieme allo smart e al contempo un piano di riorganizzazione aziendale che taglierà migliaia di posti di lavoro.

Il silenzio assenso dei sindacati italiani davanti a questi processi è assai preoccupante, accade negli Usa dove hanno presentato l’accordo nel settore delle fabbriche meccaniche come vittorioso per la classe lavoratrice salvo poi scoprire che era solo la premessa per tagli occupazionali consistenti con la trasformazione dei contratti, con la precarizzazione del lavoro e in molti casi riduzione delle buste paga e forti sperequazioni salariali tra siti produttivi.

Tra ignavia e incomprensione della realtà si va quindi affermando il nuovo modello di lavoro denominato “Next Way of Working”, un mix tra esasperata  flessibilità negli orari lavorativi e lavoro agile da casa da una parte e il lavoro tradizionale nel proprio ufficio dall’altra, con quote crescenti di salario demandate alla contrattazione di secondo livello previo raggiungimento di standard di produttività sempre più elevate e ovviamente imposte senza contrattazione sindacale dalle aziende ai propri lavoratori.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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