La povertà nascosta come polvere sotto il tappeto

Il rapporto pubblicato dalla Caritas disegna un quadro preoccupante circa la povertà assoluta in Italia, prossima a colpire un decimo della popolazione complessiva. L’analisi di Emiliano Gentili e Federico Giusti.

In Italia, stando ai dati (attendibili) della Caritas ci sono oltre 5 milioni 674 mila di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione, e 400 mila famiglie che potrebbero aggiungersi a breve per la esclusione dall’Assegno d’Inclusione, che sostituirà il Reddito di Cittadinanza.

L’analisi statistica della povertà da anni viene “appaltata” alla Chiesa Cattolica, quando un Esecutivo non dovrebbe, in teoria, temere di costruire una immagine veritiera del Paese, dove da decenni crescono le disuguaglianze economiche e sociali, i divari salariali e quelli tra aree geografiche.

La scoperta dell’acqua calda insomma, se pensiamo ai salari in discesa negli ultimi 40 anni e alla crescita di consistenti sacche di povertà che si annidano non solo nelle aree economicamente depresse ma anche all’ombra delle metropoli.

Acquisite le indagini statistiche, il ragionamento iniziale dovrebbe partire dalle dinamiche salariali e contrattuali perché nel variegato mondo degli appalti ritroviamo paghe da fame e condizioni lavorative e di vita all’insegna della precarietà.

Ma una ricerca statistica viene sovente mossa da intenti analitici e politici, che non si ravvedono, invece, nel Governo Meloni. Questo tende ad offrire un’altra immagine del Paese, che sia funzionale alla manovra di Bilancio ormai prossima alla presentazione in Parlamento.

Ma dal dossier della Caritas si evince che già ora una consistente parte dei poveri non viene supportata dalle strutture pubbliche, trovandosi esclusa di fatto da un welfare che palesa limiti strutturali.

Ogni anno, alla presentazione del dossier, si accende puntualmente la polemica. Tuttavia non si arriva mai a indagare le ragioni della crescente miseria, riguardante ormai nuclei familiari sia stranieri che autoctoni, con una età media dei beneficiari sempre più bassa (l’età media è pari a 53 anni per gli italiani e 40 per gli stranieri). Parliamo di uomini e donne esclusi dal mercato del lavoro e dalla formazione o inclusi solo per prestazioni pagate con salari da fame che non consentono loro una esistenza dignitosa.

Il dossier Caritas suona come un campanello di allarme per i governanti, ferrei nel loro non voler guardare al Paese reale e al dilagante working poor, che pur lavorando non arriva alla fine del mese.

Se il lavoro povero risulta in costante crescita, le responsabilità sono molteplici, includendo le dinamiche salariali e contrattuali determinate dai processi di privatizzazione avviati 40 anni or sono e la conseguente moltiplicazione di contratti nazionali che prevedono paghe orarie basse, così come il nostro welfare, assai poco inclusivo.

Il Rapporto affronta poi la nuova realtà della “povertà energetica”: «nel 2022 il 19,1% degli assistiti Caritas ha ricevuto un sussidio economico, degli oltre 86mila sussidi economici erogati dalla rete Caritas nel 2022 il 45% è stato a supporto di ’bisogni energetici’, ovvero bollette».

Un Governo che si erge a difesa delle famiglie dovrebbe non essere insensibile al mero dato statistico, ossia che il 52% delle famiglie prese in carico dagli sportelli Caritas appartenga a nuclei familiari con minori.

Il rapporto tra povertà salariale e contrattuale, precarietà lavorativa e miseria salta agli occhi, così come sono evidenti le carenze di un welfare ormai basato sui bonus e modellato dalle finanziarie annuali, anziché orientato a produrre interventi strutturali destinati a dare risultati nel tempo.

Se i Governi di Centro Sinistra affidavano al terzo settore il compito di intervenire socialmente nell’ambito della povertà, l’esecutivo di destra pensa invece che sgravi fiscali o bonus di varia natura siano la soluzione vincente, con il risultato che se nel primo caso si alimentavano i salari da fame per quanti operano nelle cooperative, nel secondo invece si graverà sulla fiscalità generale per soluzioni tampone e temporanee. Nell’uno e nell’altro caso manca un cambio di passo, una strategia di interventi strutturali per soluzioni reali, finalizzati a combattere l’immiserimento di fette consistenti della popolazione.

In tempi ormai lontani la scuola italiana svolgeva un ruolo inclusivo e di argine alla povertà economica e culturale, che sappiamo essere estremamente connesse. Oggigiorno l’impoverimento del sistema educativo nazionale e la sua costante burocratizzazione stanno diventando un serio problema che il Governo non intende combattere, visto che ormai privilegia solo interventi di natura securitaria (fondi destinati ai piani di evacuazione in caso di presunte allerte antiterrorismo, cani antidroga ai cancelli delle scuole, inasprimento del codice penale considerando l’occupazione come un reato da punire con pene tanto inusuali quanto pesanti).

Il basso livello di istruzione (il 66,5% degli assistiti dalla Caritas ha il titolo di studio di licenza media inferiore) e la fragilità occupazionale sono dunque le cause della povertà dilagante, e se fino a pochi anni fa i senza lavoro erano la stragrande maggioranza degli assistiti, negli ultimi anni è invece aumentata la componente del lavoro povero, caratterizzato da lavoratrici e lavoratori in nero, in grigio, dai part time forzati, da contratti cosiddetti regolari ma tali da determinare salari inadeguati.

Mentre i salari vedono crollare il loro potere di acquisto e la occupazione diventa precaria, i profitti delle imprese aumentano di oltre l’1,3%; meno di quanto avvenga in altri paesi europei, tuttavia, a conferma delle croniche difficoltà del sistema produttivo nazionale.

Chiudiamo con due ulteriori considerazioni.

La prima riguarda il caro bollette, determinato dalla guerra in Ucraina e dai processi speculativi finanziari, che spinge molte famiglie alla morosità (come avviene ormai da anni per gli affitti).

La seconda riflessione non può che investire direttamente la scellerata scelta di abrogare il Reddito di Cittadinanza, tanto che il 33% dei nuclei  familiari già beneficiari non avranno diritto all’AdI e resteranno così senza quella fonte di sostentamento che aveva consentito una vita appena più dignitosa a milioni di persone. Il sistema formativo e di orientamento al lavoro è assai carente e per i beneficiari della nuova misura incombe lo spettro di rimanere esclusi da qui ad un anno, non avendo trovato nel frattempo una occupazione.

Per saperne di più rinviamo alla sintesi del Rapporto Caritas:

Tutto da Perdere 2023 Summary_definitivo (caritas.it)

Notizie in pillole estrapolate dal Dossier:

  • Gli stranieri, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione residente, costituiscono il 30% dei poveri assoluti;
  • Dal 2021 al 2022 si aggravano le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento;ha conseguito al massimo la licenza elementare;
  • Un fattore che accomuna la gran parte degli utenti è il basso livello di istruzione (il 66,5% di loro ha al massimo la licenza di scuola media inferiore) e la fragilità occupazionale. Quest’ultima si esprime per lo più con condizioni di disoccupazione (48%) e di “lavoro povero” (22,8%). Rispetto alla storia assistenziale c’è una forte eterogeneità dei casi seguiti. Accanto alle nuove povertà che pesano per il 45,3% del totale si aggiunge un’ampia fetta di persone che sono seguite da più tempo e che fanno fatica a risollevarsi: il 21% è seguito da 1-2 anni, il 9,3% da 3-4 anni, il 24,4% da cinque anni e più. Tra gli assistiti esiste quindi uno zoccolo di povertà croniche e intermittenti che si trascinano da un anno all’altro senza particolari scossoni;
  • le persone che si rivolgono alla rete Caritas manifestano per lo più difficoltà di ordine materiale: problemi economici (questo accomuna il 78,5% dell’utenza), occupazionali (45,7%) e abitativi (23,1%). Seguono poi altre forme di fragilità, spesso associate alle prime. In particolare: i disagi legati all’immigrazione per i soli stranieri (24,2%), i problemi familiari (13%), di salute (11,6%), legati all’istruzione (7,8%), alle dipendenze (3,1%), alla detenzione e giustizia (3,1%) o all’ handicap/disabilità (2,9%);
  • in termini di fragilità, dal 2022 al 2023 tende ad aumentare in particolare la quota di persone con problemi abitativi (mancanza di casa, accoglienza provvisoria, abitazioneprecaria/inadeguata) e connessi allo stato di salute;
  • il fenomeno del lavoro povero è dovuto a quattro dimensioni principali, ossia alla debolezza contrattuale (proliferazione dei CCNL, mancato rinnovo contrattuale, non soloretribuzione oraria, ecc.), alla trasformazione del mercato del lavoro (precarietà, terziarizzazione del mercato del lavoro, diminuzione delle ore lavorate, prevalenza delle nano-imprese, ecc.), ai comportamenti dei datori di lavoro e ai fenomeni storico-economici di sfondo (lavoro grigio, nero e irregolare, part-time involontario, aumento del costo della vita, ecc.).

di Emiliano Gentili e Federico Giusti

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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