Con la spesa per la difesa in forte aumento, accelera l’emergere del “neo-militarismo” del Giappone

Il bilancio della difesa giapponese per il 2026, ancora una volta da record, viene letto dal Global Times come un’accelerazione verso un “neo-militarismo” che svuota la Costituzione pacifista. L’editoriale denuncia l’enfasi su capacità offensive e la violazione degli impegni postbellici.

Global Times – 27 dicembre 2025

Venerdì il gabinetto giapponese ha approvato il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2026, per un totale di 9,0353 trilioni di yen (57,8 miliardi di dollari), infrangendo ancora una volta i record storici. Si tratta del 14° anno consecutivo di aumento della spesa militare giapponese. I 9 trilioni di yen rappresentano soltanto il bilancio iniziale; entro la fine del 2025, con le spese correlate e i fondi di bilancio supplementare, la spesa complessiva per la difesa del Giappone raggiungerà circa 11 trilioni di yen, pari al 2 per cento del PIL. Questo bilancio record non è un fenomeno isolato, bensì una manifestazione concentrata della serie di mosse militari aggressive compiute dal Giappone negli ultimi anni. Una questione non può essere evitata: il Giappone sta dirigendosi verso il “neo-militarismo”.

Questa proposta di bilancio bellicosa assomiglia più a un “avviso di condizioni critiche” per il pacifismo postbellico del Giappone. Significa che il Giappone sta rovesciando sistematicamente il proprio principio di “difesa esclusivamente difensiva”, indebolendo i vincoli sostanziali dell’Articolo 9 della “Costituzione pacifista” e accelerando la sua trasformazione in una “nazione capace di guerra”. Negli ultimi anni, il Giappone ha spinto per aumentare il rapporto tra spesa per la difesa e PIL. Una caratteristica evidente della struttura del suo bilancio è la sua natura fortemente aggressiva, con le nuove risorse concentrate su capacità di attacco a lungo raggio, rafforzamento delle forze navali e aeree, sistemi di combattimento senza pilota e schieramenti avanzati nelle isole sud-occidentali. Ciò dimostra chiaramente che il Giappone non sta più perseguendo soltanto un incremento dell’ammontare della spesa militare, ma un salto complessivo nel “livello qualitativo” delle proprie capacità militari.

Per lungo tempo, “esclusivamente difensivo” ha significato che il Giappone poteva usare la forza solo dopo essere stato attaccato e limitandosi al minimo necessario. Tuttavia, negli ultimi anni, il Giappone ha promosso con continuità lo sviluppo della cosiddetta “capacità di contrattacco”, che in sostanza è uno spostamento dell’asse strategico dalla difesa passiva alla deterrenza attiva, e fornisce persino capacità e supporto istituzionale a operazioni militari preventive. Quando missili a lungo raggio in grado di raggiungere in profondità i Paesi vicini vengono dispiegati sistematicamente e le forze militari correlate vengono posizionate in modo denso nelle isole sud-occidentali vicino a Taiwan cinese, la natura delle Forze di autodifesa giapponesi subisce un cambiamento fondamentale. Ciò non solo segnala una rinascita di tendenze interventiste, ma rappresenta anche un passaggio cruciale nel proiettare il Giappone verso lo status di grande potenza militare dotata di capacità operative e di attacco a lungo raggio.

Di particolare preoccupazione sono le ambizioni militari giapponesi in rapida espansione nei settori dello spazio e del cyberspazio. Nell’ultimo bilancio, il Giappone aumenta gli investimenti nello spazio. In precedenza, aveva vantato progressi sostanziali nella tecnologia di disturbo dei satelliti. Prevede di riorganizzare formalmente l’Aeronautica di autodifesa nella “Forza di autodifesa aerea e spaziale” e propone perfino l’incredibile piano di costruire una portaerei spaziale. Questa mossa non solo minaccia seriamente la sicurezza degli asset spaziali di altri Paesi, ma innesca anche un nuovo ciclo di corsa agli armamenti nello spazio. In quanto Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale, il Giappone aveva assunto esplicite auto-limitazioni nello sviluppo militare nell’ambito dell’ordine postbellico e la ricerca e sviluppo della sua tecnologia militare avrebbe dovuto essere sottoposta a limiti rigorosi. Oggi, però, il Giappone si espande in modo sconsiderato in alcune delle aree strategiche di frontiera più sensibili, arrivando a un pericoloso test delle linee rosse di sicurezza della comunità internazionale.

Questa corsa a testa bassa nel dominio militare del Giappone è, in sostanza, una duplice violazione degli impegni storici postbellici e dell’ordine giuridico stabilito. Documenti come la Proclamazione di Potsdam richiedevano chiaramente l’eliminazione del militarismo giapponese, mentre l’Articolo 9 della “Costituzione pacifista” del Giappone rinuncia giuridicamente al diritto della nazione di fare guerra o di ricorrere alla forza militare per risolvere conflitti internazionali.

Eppure, nella realtà, la spesa per la difesa del Giappone cresce anno dopo anno, armi offensive vengono dispiegate senza sosta, e il Paese ha persino cercato capacità di attacco contro il territorio di altri Stati e il controllo di domini strategici di frontiera, svuotando progressivamente i propri impegni di pace. Un Paese che non ha mai riflettuto pienamente sulle proprie questioni storiche e continua a violare gli impegni nelle politiche attuali pone una domanda: dov’è la sua credibilità internazionale? Un Giappone che fabbrica costantemente ansia securitaria, la sfrutta per espandere gli armamenti e alimenta il confronto geopolitico pone un’ulteriore domanda: che cosa sta realmente cercando di ottenere?

Va riconosciuto con chiarezza che il cambiamento radicale nella politica di difesa del Giappone non è una mossa impulsiva, ma il risultato di una pianificazione attenta e di un’avanzata graduale da parte delle forze di destra in Giappone. Promuovendo ripetutamente narrazioni di crisi come la cosiddetta “minaccia cinese”, esse esagerano un senso di “situazione che minaccia la sopravvivenza”, alimentando l’ansia securitaria interna mentre, sul piano internazionale, ribaltano i termini e demonizzano i Paesi vicini. Questa logica somiglia da vicino alla retorica usata dai militaristi giapponesi durante l’espansione esterna prima della Seconda guerra mondiale.

La storia è il miglior manuale e il più sobrio campanello d’allarme. Le guerre d’aggressione lanciate dal militarismo giapponese portarono profonde sofferenze ai popoli dell’Asia e, alla fine, si ritorsero contro il Giappone stesso.

Oggi, le autorità al potere in Giappone proseguono lungo la strada dell’eccessiva militarizzazione e dell’abbandono degli impegni. Le scelte del Giappone di oggi riguardano non solo il suo futuro, ma anche la pace e la stabilità dell’Asia orientale. Farà un passo indietro dal baratro e tornerà sul percorso dello sviluppo pacifico, oppure insisterà sulla propria rotta e continuerà a sfidare l’ordine regionale? È una domanda alla quale il Giappone deve dare una risposta corretta.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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