La Finanza spinge per la produzione di armi

Tra retorica ESG e realtà dei mercati, i fondi europei raddoppiano in tre anni le quote nelle aziende d’armi: coesione sociale e transizione ecologica cedono al riarmo. Banca Etica denuncia: finanza “woke” a parole, guerrafondaia nei portafogli, dopo inchieste e dati Sipri-Bloomberg.

Un anno fa Banca Etica prendeva posizione a favore della legge che regola la vendita di armi italiane escludendo i paesi dove vengono violati i diritti umani e sono in corso conflitti armati, legge tuttavia che nel corso degli anni abbiamo visto aggirata anche per il carattere transnazionale delle imprese belliche. Nel 2024 veniva invocata trasparenza e il controllo parlamentare sul commercio e sulle operazioni di finanziamento di queste operazioni; quindi, veniva attenzionato l’operato delle stesse Banche. 

A distanza di 12 mesi o poco più, Banca Etica interviene sulla finanza ESG (ambientale, sociale e per la governance responsabile) che già Alessandro Volpi aveva individuato come terreno fertile per ampliare gli investimenti militari. La denuncia di Banca Etica è da prendere in seria considerazione, in sostanza dice che i fondi europei hanno acquistato azioni delle aziende produttrici di armi raddoppiando gli investimenti in meno di 3 anni, come se la coesione sociale e la transizione ecologica fossero conciliabili con la guerra e la realizzazione di nuovi sistemi bellici. Il classico conflitto tra la enunciazione di principi astratti (tipica di un certo capitalismo “dal volto umano” che attribuisce a determinati valori importanza solo ai fini di immagine sostenendo battaglie etiche e morali fino a quando conviene ai mercati) e una pratica quotidiana che va in direzione ostinata ma contraria. Le guerre sono tra le cause principali della devastazione dei territori e anche dei cambiamenti climatici, investire nelle aziende belliche ha poco a che spartire con i principi etici e morali ambientalisti. Prima ancora del Fatto Quotidiano, con un articolo pubblicato nella edizione del 31 Ottobre, la rivista Vita aveva denunciato l’intreccio tra Finanza e imprese di guerra.

Secondo un’analisi condotta da Morningstar direct a settembre 2024 circa un terzo dei fondi in Europa e nel Regno Unito con focus su tematiche ambientali, sociali e di governance aveva investito 7,7 miliardi di euro nel settore della difesa, più del doppio rispetto ai 3,2 miliardi del primo trimestre del 2022. Una tendenza che solleva interrogativi profondi, non solo per le gravi implicazioni sociali ed economiche, ma anche per i costi ambientali. Roberto Grossi, vicedirettore generale di Etica Sgr, fa il punto sul rapporto di non compatibilità tra investimenti ESG con l’industria degli armamenti: «Oltre all’impatto sociale negativo che pensiamo sia oltremodo evidente, anche l’impatto avverso sull’ambiente dell’industria bellica è ampiamente comprovato da evidenze e dati».

Il Fatto riprende una inchiesta di Bloomberg che documenta l’aumento delle quote azionarie e il passaggio degli investimenti dai parchi eolici alle armi di distruzione di massa con il 54% dei fondi azionari europei che investono nelle aziende della difesa e, nei prossimi anni, lo faranno in misura crescente, specie nel settore dell’aerospazio e della sicurezza, avendo accolto con favore la decisione della Ue di procedere con il Riarmo europeo. E perfino investimenti in campo nucleare saranno possibili come documenta il Sipri.

Nell’arco di pochi mesi il capitalismo e la finanza woke da pacifista si scoprono guerrafondai.

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About Federico Giusti

Federico Giusti è delegato CUB nel settore pubblico, collabora coi periodici Cumpanis, La Città futura, Lotta Continua ed è attivo sui temi del diritto del lavoro, dell'anticapitalismo, dell'antimilitarismo.

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