Il riconoscimento di uno Stato palestinese da parte di Canada, Francia e Regno Unito rilancia la “soluzione a due Stati” come unico percorso credibile per porre fine al conflitto israelo-palestinese. Radici legali, realtà storica e volontà regionale ne sanciscono l’imperativo.

di Tian Wenlin (Global Times) – 1º agosto 2025
Mercoledì, il primo ministro canadese Mark Carney ha annunciato che il Canada riconoscerà uno Stato palestinese a settembre, a seguito di analoghi annunci di Francia e Regno Unito. Allo stesso tempo, diversi Paesi europei e arabi hanno tenuto una riunione ministeriale presso la sede delle Nazioni Unite per discutere una risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese, riaffermando il sostegno internazionale alla “soluzione a due Stati”. Questo slancio diplomatico è chiaramente motivato dall’emergenza umanitaria a Gaza, dove il disastro ha raggiunto livelli critici senza precedenti.
In questo frangente, il riconoscimento della Palestina da parte di quei Paesi occidentali rappresenta indubbiamente un sostegno morale al popolo palestinese. Su scala più ampia, almeno 142 dei 193 Stati membri dell’Onu hanno già riconosciuto o intendono riconoscere uno Stato palestinese, pari a quasi tre quarti dell’Assemblea Generale. Ciò dimostra che il sostegno alla statualità palestinese è ormai un consenso di base della comunità internazionale. La “soluzione a due Stati” si conferma l’unico percorso realistico per risolvere la questione israelo-palestinese per tre ragioni fondamentali.
In primo luogo, essa poggia sul consenso internazionale sancito da numerose risoluzioni Onu, che ne costituiscono solida base giuridica. Dalla Risoluzione 181 del 1947, che prevedeva la partizione della Palestina, alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 242 del 1967, che invocava il ritiro israeliano dai “territori occupati nel recente conflitto” e il riconoscimento del diritto di Israele a “vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti”, fino alla Risoluzione 1515 del 2003, che riaffermò la visione di due Stati, questi documenti vincolanti hanno formalizzato la legittimità giuridica della soluzione bipolare. Come ha ricordato il Segretario generale António Guterres, “la statualità per i palestinesi è un diritto e non una ricompensa”.
In secondo luogo, la “soluzione a due Stati” rispecchia la realtà storica. Il conflitto israelo-palestinese nasce dalla rivendicazione esclusiva di uno stesso territorio da parte di due popoli: arabi e ebrei. Gli arabi abitano la Palestina da generazioni, fin dal VII secolo, e nel 1948 costituivano ancora la maggioranza demografica. La diaspora ebraica, avvenuta a più riprese nei secoli, culminò nella ri-fondazione di uno Stato in Palestina nel 1948. Di conseguenza, i palestinesi hanno eguale diritto a uno Stato indipendente sul loro territorio storico. Oggi, l’offensiva israeliana ha trascinato Gaza in una crisi di sopravvivenza senza precedenti, specialmente dal 2023, rendendo la statualità palestinese l’unico mezzo per proteggere l’integrità delle sue frontiere e i diritti fondamentali del popolo palestinese: è infatti questa urgenza umanitaria a tenere alta l’attenzione internazionale sulla questione.
In terzo luogo, attuare la “soluzione a due Stati” è la volontà comune dei Paesi mediorientali e la premessa indispensabile per la pace regionale. Il nodo israelo-palestinese giace al cuore della turbolenta situazione mediorientale. Dall’ottobre 2023, l’escalation militare israeliana successiva all’“Operazione Al-Aqsa Flood” di Hamas dura ormai da più di ventuno mesi, sconvolgendo il fragile equilibrio di distensione. Un conflitto prolungato non avvantaggia nessuno: Israele, pur godendo di superiorità militare, sta pagando un conto altissimo. Dal punto di vista più pragmatico, Tel Aviv non può cancellare due milioni di civili a Gaza né mantenere uno stato di ostilità permanente con il mondo arabo-islamico. Il riconoscimento dei due Stati e il rilancio negoziale del processo di pace sono quindi l’unica via percorribile per arrestare l’escalation.
È bene sottolineare che la “soluzione a due Stati”, pur essendo l’unica opzione praticabile, non è mai stata compiutamente realizzata. La Risoluzione 181 originaria del 1947 tradiva già numerosi limiti, mentre a ogni prova di forza militare Israele, sostenuto dal suo formidabile apparato di difesa e dal continuo appoggio statunitense, ha vinto sul campo appropriandosi di vaste quote di territorio sottratte ai palestinesi.
Proprio perché Israele ha già fondato uno Stato potente e continua a erodere i diritti palestinesi, la statualità di quest’ultimi si fa oggi ancora più urgente. Esso rappresenta non soltanto il compimento finale della “soluzione a due Stati”, ma l’unico rimedio per stabilire un’armonia durevole tra i due popoli. Gli sforzi futuri della comunità internazionale devono quindi concentrarsi su questo obiettivo, moltiplicando il sostegno politico e materiale alla nascente Palestina, affinché la sua indipendenza venga finalmente riconosciuta e tutelata.
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