Il caso Epstein e la denuncia di Trump al Wall Street Journal: Murdoch tiene duro

In un crescendo di denunce e controdenunce, Trump tenta di zittire il WSJ per una lettera oscena collegata a Epstein, mentre i sostenitori MAGA reclamano trasparenza. Il caso mette in luce scontri tra potere politico, media e pressioni giudiziarie.

“Questa causa è stata fatta non solo a nome del vostro presidente favorito, IO, ma anche per continuare la difesa di TUTTI gli americani che non tollerano gli abusi dei Fake Media”. Con queste parole, Donald Trump ha spiegato ai suoi sostenitori, usando maiuscole per enfasi, la sua querela al Wall Street Journal (WSJ). Il giornale stava per pubblicare una lettera con disegno osceno inviata dal tycoon a Jeffrey Epstein, quando i due erano grandi amici. Nelle ultime settimane, l’affaire Epstein è riemerso a galla per le discussioni di alcuni membri del movimento MAGA, delusi che tutti i dettagli del finanziatore pedofilo non siano stati pubblicati. Epstein, va ricordato, è stato condannato nel 2019 e poi si è suicidato in carcere. Aveva una lista di individui che avrebbero partecipato ai suoi viaggi nella sua isola privata, e si crede che quei suoi amici abbiano avuto rapporti con minorenni. Trump, che aveva rotto con Epstein nel 2004, potrebbe essere in qualche modo coinvolto, come suggeriscono i suoi tentativi di mettere a tacere la discussione.

Parte del problema è però dovuto alla campagna di cospirazione caldeggiata da Trump durante le elezioni, nelle quali aveva accusato gli amici di sinistra di Epstein di pedofilia. Le cospirazioni sostenevano che questi individui controllassero l’America ed fossero colpevoli dei delitti più orrendi. Non si conoscono tutti i dettagli, ma la situazione è stata aggravata dal fatto che Matt Bondi, il ministro di Giustizia di Trump, aveva dichiarato che la lista dei clienti di Epstein esiste e si trova sulla sua scrivania. Perché dunque non rivelare i nomi?

L’interesse di Trump di mettere tutto a tacere si è scontrato con la base MAGA, la cui insoddisfazione è stata promossa da ex stretti collaboratori come Steve Bannon, Tucker Carlson, Laura Loomer ed Elon Musk. Adesso, con la denuncia di Trump al WSJ, il cui proprietario è Rupert Murdoch, questi cospirazionisti hanno frenato l’entusiasmo, vedendo nel padrone di Fox News un capro espiatorio. Musk ha persino dichiarato che il contenuto della lettera sembra inverosimile per Trump. Murdoch avrebbe potuto impedire la pubblicazione, ma ha lasciato la decisione a Emma Tucker, direttrice del giornale. Il WSJ, com’è noto, pende a destra e di solito supporta la politica presidenziale nella linea editoriale. La sezione notizie, però, è molto rispettata per indipendenza e credibilità. Ciononostante, nei suoi editoriali il WSJ ha preso le distanze dalla politica economica di Trump, specialmente sui dazi.

Murdoch non ha bloccato la pubblicazione della lettera nonostante la denuncia da un miliardo di dollari. Probabilmente si tratta di una minaccia, che il magnate non avrà gradito. Murdoch e Trump non sono grandi amici, ma si sono aiutati a vicenda. Fox News è la rete di casa del presidente, e la presenza di Trump ne aumenta lo share.

Trump ha costretto reti televisive a piegarsi: Paramount ha patteggiato risarcendolo di 16 milioni di dollari per un’intervista di 60 Minutes su CBS; ha ricevuto 15 milioni da ABC per l’intervista di George Stephanopoulos dove veniva accusato di stupro. Recentemente ha minacciato New York Times e CNN. I proprietari del Washington Post e del Los Angeles Times, Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong, avevano bloccato l’endorsement per Harris nel 2024, contraddicendo i consigli editoriali.

Se Murdoch non si è piegato, la sua Fox News rimane però propaganda. Molti collaboratori di Trump lavorano lì. Il WSJ ha avuto la libertà di pubblicare, dimostrando professionalità: ha rivelato che Trump era stato informato da Bondi a maggio che il suo nome appare più volte in documenti sul caso Epstein. Appare chiaro perché Trump voglia zittire il caso. A sostenere la censura, un giudice in Florida ha respinto la richiesta di rendere pubbliche le deposizioni del gran giurì. Ma la commissione alla Camera, dominata dai repubblicani, ha approvato un mandato di comparizione sui documenti. Restiamo sintonizzati.

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About Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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