Il panorama politico del Suriname ha subito un importante mutamento tra maggio e luglio, con le elezioni legislative prima e la successiva nomina del nuovo presidente. Il nuovo assetto parlamentare e l’avvento della prima presidente donna aprono scenari di rinnovamento sociale ed economico, ma dovranno fare i conti con l’esigente gestione del boom petrolifero offshore.

La tornata elettorale legislativa dello scorso 25 maggio ha rappresentato un test di forza inedito per i due principali schieramenti del Suriname, ex colonia olandese in America meridionale. Il Partito Nazionale Democratico (Nationale Democratische Partij, NDP), guidato da Jennifer Geerlings‑Simons, ha ottenuto 18 seggi in Assemblea, superando di un solo scranno il Partito della Riforma Progressista (Vooruitstrevende Hervormings Partij, VHP) del presidente uscente Chan Santokhi, fermatosi a 17 deputati eletti. Un risultato che ha confermato l’equilibrio politico del piccolo Stato sudamericano e ha lasciato nelle mani dei partiti minori l’ago della bilancia nella formazione della coalizione di governo.
Il sistema elettorale proporzionale ha infatti premiato la frammentazione: i restanti 16 seggi si sono suddivisi tra cinque formazioni di dimensioni ridotte, tra cui spiccano il Partito di Liberazione e Sviluppo (Algemene Bevrijdings- en Ontwikkelingspartij, ABOP) e il Partito Nazionale del Suriname (Nationale Partij Suriname, NPS), con 6 seggi ciascuno. L’assenza di una maggioranza assoluta ha posto il Suriname di fronte a complesse trattative per assicurarsi i 34 voti necessari a guidare l’Assemblea con una coalizione stabile, condizione imprescindibile anche per eleggere il presidente della Repubblica tramite voto indiretto.
Nel mese successivo alle legislative, il partito NDP, principale forza di opposizione nella precedente legislatura, ha condotto negoziati serrati con ABOP, NPS, ma anche con gli altri partiti minori presenti in parlamento, Pertjajah Luhur (PL), Alternative 2020 (Alternatief 2020, A20) e Fratellanza e Unità in Politica (Broederschap en Eenheid in de Politiek, BEP), riuscendo a mettere insieme esattamente 34 seggi su 51. Questo risultato ha garantito al partito di Geerlings‑Simons di poter eleggere la propria leader alla presidenza senza l’appoggio di altre forze politiche. Il 2 luglio, il partito a guida del governo uscente, VHP, riconoscendo l’impossibilità di formare una maggioranza alternativa, ha deciso di non presentare un candidato né alla presidenza né alla vicepresidenza, sancendo di fatto il successo dell’accordo di coalizione.
L’elezione di Jennifer Geerlings‑Simons, avvenuta per acclamazione il successivo 6 luglio, ha dunque segnato un momento storico: per la prima volta una donna assume la più alta carica dello Stato surinamese. All’età di 71 anni, la dottoressa in epidemiologia e veterana della politica locale porta in dote un’esperienza ventennale come presidente dell’Assemblea nazionale e un’immagine di innovazione, ma dovrà immediatamente confrontarsi con la fragilità economica e sociale del paese a partire dal 16 luglio, data dell’inizio ufficiale del suo mandato.
Il mandato di Geerlings‑Simons inizia infatti in un contesto di grande incertezza economica. Se da un lato il Suriname è tra i paesi con il più alto tasso di povertà in Sud America, dall’altro è da poco emerso come promettente produttore di petrolio offshore grazie al progetto Gran Morgu, guidato dalla multinazionale francese TotalEnergies, le cui estrazioni dovrebbero partire nel 2028. La nuova presidente ha subito dichiarato l’intenzione di utilizzare le future entrate per sostenere i settori più fragili della popolazione e per finanziare una transizione energetica graduale, ponendosi in continuità con la politica “carbon-negative” avviata dal governo precedente.
Tuttavia, il percorso non è privo di ostacoli. Tra i partner di governo vi è il vicepresidente eletto Gregory Rusland (NPS), figura di mediazione fondamentale per mantenere coesa una coalizione eterogenea. La pressione internazionale e le aspettative locali impongono del resto una gestione trasparente delle risorse e una rapida stabilizzazione delle finanze statali. Il debito pubblico, pesantemente ristrutturato con l’ausilio del FMI, richiede un servizio annuo di circa 400 milioni di dollari, una cifra che supera la capacità di spesa corrente del bilancio surinamese.
Il contesto geopolitico arricchisce di complessità il quadro nazionale. Negli ultimi anni, il Suriname ha intensificato i legami con la Cina, aderendo già nel 2019 all’iniziativa Belt and Road e accettando importanti investimenti infrastrutturali cinesi. Parallelamente, gli Stati Uniti hanno manifestato attenzione strategica al paese, con una visita del segretario di Stato Marco Rubio nel marzo di quest’anno, finalizzata a contenere l’influenza cinese nella regione.
Sotto il profilo interno, le sfide non riguardano solo il settore energetico. L’inflazione, spesso oltre il 50% annuo, erode i redditi familiari e alimenta proteste sociali, mentre la gestione delle foreste – entro le quali si nascondono immense ricchezze minerarie ed ecologiche – pone interrogativi sulla sostenibilità ambientale. A tal proposito, Geerlings‑Simons ha ribadito la volontà di combattere l’estrazione illegale dell’oro e il disboscamento, riconoscendo il patrimonio forestale come elemento differenziante dell’identità surinamese e strumento cruciale per la mitigazione climatica.
Questa breve analisi delle dinamiche politiche in Suriname evidenzia come la transizione di potere non sia stata guidata da rotture radicali, bensì da compromessi sottili all’interno di un contesto parlamentare frammentato, ma in cui la maggioranza delle forze politiche presenti si richiama all’area socialdemocratica. La leadership di Geerlings‑Simons dovrà trovare un equilibrio tra la necessità di stabilità politica e l’urgenza di risposte concrete alle esigenze di sviluppo. La sfida, secondo gli analisti, sarà quella di gestire il boom petrolifero in modo da evitare la cosiddetta “maledizione delle risorse” e promuovere un modello di crescita inclusivo.
In questa prospettiva, il nuovo governo ha davanti a sé un doppio binario: da un lato, predisporre i meccanismi di trasparenza e responsabilizzazione nell’utilizzo dei fondi petroliferi, istituendo magari un fondo sovrano; dall’altro, consolidare la coesione sociale attraverso riforme di welfare e investimenti in istruzione e infrastrutture di base. Il supporto di altri paesi come la Cina, nell’ambito della Belt and Road Initiative, potrà rivelarsi cruciale, offrendo un’ulteriore spinta allo sviluppo economico del Suriname.
La scelta di una figura femminile al vertice dello Stato, infine, non è solamente un dettaglio simbolico: in una società multietnica e segnata da disuguaglianze, la presenza di Geerlings‑Simons porta con sé l’auspicio di un cambiamento culturale e di una maggiore rappresentanza. Se il suo governo saprà coniugare pragmatismo economico e visione sociale, il Suriname potrebbe avviare una fase di rilancio sostenibile, trasformando in opportunità la complessità interna e le sfide globali.
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