Tra provocazioni e ritrattazioni, Trump si muove tra dazi e retate migratorie senza considerare le conseguenze reali. Il suo approccio improvvisato espone mercati e agricoltura a crisi, mentre gli USA rischiano carenze di manodopera essenziale.

“È una domanda malevola. Non la ripeta mai. Io non mi tiro indietro, si tratta di una strategia negoziale”. Con queste parole Donald Trump ha ripreso la giornalista Megan Casella della CNBC, che gli aveva chiesto la sua opinione sul termine “TACO” (acronimo di Trump Always Chickens Out, Trump si tira sempre indietro per paura).
Difficile sapere se Trump cambi rotta per paura o per altre ragioni. Con ogni probabilità, le sue azioni nascono da valutazioni poco realistiche e poco ponderate. Sui dazi non serviva un genio per prevedere ritorsioni: Trump aveva sopravvalutato il suo potere annunciando che tutti i Paesi del mondo erano pronti a stringergli “il c…lo” per incontrarlo.
Pochissimi Stati si sono presentati alle trattative, ma dopo le sue minacce i mercati borsistici persero il 15%, prefigurando tempeste. Trump si rese conto e sospese i dazi, offrendo ossigeno all’economia. Il caso più eclatante fu la Cina, che introdusse dazi simili a un embargo commerciale.
Trump ignorava il quasi monopolio cinese su risorse minerarie vitali per l’industria automobilistica, la difesa, l’energia ecc. Dopo settimane, annunciò un accordo con la Cina i cui dettagli restano parziali. Alcuni analisti lo hanno definito una resa di Trump, costretto ad accettare condizioni vantaggiose per Pechino.
Situazione analoga con la stretta sui migranti condotta dall’ICE, l’agenzia per i controlli alle frontiere. Sotto Stephen Miller, consigliere ultra‑conservatore, era stata fissata la quota di 3.000 arresti al giorno, obiettivo mai raggiunto. Miller sgridò i leader di ICE, ordinando retate in aree prima evitate per pubblicità negativa. Le retate a Los Angeles e le manifestazioni pacifiche furono interpretate come insurrezione. Trump prese, forse illegalmente, il comando della Guardia Nazionale californiana e la dispiegò in città. Non soddisfatto, inviò centinaia di Marines, mossa insolita perché l’esercito non è addestrato a gestire manifestazioni civili.
ICE arrestò centinaia di lavoratori, essenziali per l’economia americana. Poi le retate si estesero all’agricoltura, dove la maggioranza della manodopera è irregolare. ICE però non distingue tra documenti legali o no. I proprietari delle aziende agricole, sostenitori di Trump, protestarono, avvertendo che la mancanza di lavoratori avrebbe compromesso la produzione alimentare. Trump, ignaro di questi dati, ascoltò la segretaria all’Agricoltura, Brooke Rollins, e su Truth Social promise di “prendersi cura degli agricoltori, degli alberghi e di altri settori”. Sembra un dietrofront: ICE ricevette ordini di fermare le retate. Miller però insistette e ripresero.
Le ultime notizie sono frammentarie, ma i danni sono evidenti. L’America non può reggere senza la manodopera migrante. Alcuni lavoratori, spaventati, hanno smesso di presentarsi al lavoro. Come con i dazi, Trump non coglie questioni fondamentali, nonostante si presenti come businessman. Un imprenditore che ignora il ruolo cruciale dei lavoratori dovrebbe allarmare. I sondaggi confermano: solo il 37% approva la sua politica economica, il 33% definisce positivi i dazi e il 41% valuta positivamente il suo operato.
Quando i risultati deludono, Trump incolpa altri. Ha attaccato Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, definendolo uno “stupido” per non aver abbassato i tassi. Secondo Trump, Powell “sta facendo perdere montagne di soldi al Paese”. Proietta così le proprie debolezze. L’unico merito della sua politica sarebbe la disponibilità a fare marcia indietro, come con i dazi. Lo stesso avverrà con i migranti quando la loro assenza renderà evidente il valore della manodopera e le corporation che lo sostengono gli apriranno gli occhi.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte e del link originale.