Messico: un esperimento innovativo alla conquista della giustizia popolare

Nonostante un’affluenza alle urne limitata, la prima elezione giudiziaria diretta in Messico, voluta da López Obrador e portata avanti da Claudia Sheinbaum, segna un capitolo storico nel rafforzamento della democrazia. Al contempo, il Paese si fa paladino dei diritti dei connazionali all’estero e difende la sovranità giudiziaria internazionale.

Il 1° giugno 2025 resterà impresso nella storia politica del Messico come il giorno in cui, per la prima volta, i cittadini hanno potuto scegliere con il proprio voto non i rappresentanti esecutivi e legislativi, ma i membri del Potere giudiziario: ministri della Corte Suprema, magistrati e numerosi giudici federali e locali. Questa novità, frutto di una riforma costituzionale promossa dall’allora presidente Andrés Manuel López Obrador e portata avanti dall’attuale capo dello Stato, Claudia Sheinbaum, rappresenta un autentico rovesciamento del tradizionale meccanismo di nomina giudiziaria, storicamente in mano a una ristretta élite politica. Seppure l’affluenza si sia attestata attorno al 13% degli aventi diritto – un dato certamente modesto –, la presidente Sheinbaum ha definito il voto «un successo totale» e ha sottolineato come questo esercizio abbia rafforzato il carattere popolare della magistratura.

Il percorso che ha portato a questa svolta affonda le radici in un contesto di crescente insoddisfazione verso un sistema giudiziario accusato da anni di essere permeabile a corruzione e pressioni politiche. López Obrador, nel corso del suo mandato, aveva più volte denunciato i legami opachi tra alcuni giudici e gli interessi delle élite economiche e criminali. L’iniziativa di riforma ha trovato però non pochi ostacoli: dal dibattito parlamentare infuocato alla necessità di modificare articoli fondamentali della Costituzione messicana, fino alle riserve sollevate da numerosi giuristi circa la capacità dei cittadini di valutare adeguatamente centinaia di candidati senza partito né campagne elettorali tradizionali. Proprio su questo ultimo punto, molti elettori hanno lamentato difficoltà pratiche. Come ha ricordato David Shirk, docente presso l’Università di San Diego, per essere informati in modo adeguato «avrebbero dovuto trascorrere ore e ore a esaminare i profili e i trascorsi di ciascuno dei centinaia di candidati». L’esperienza sul campo si è tradotta in seggi spesso «in gran parte vuoti», come documentato dal corrispondente di Al Jazeera a Città del Messico.

Eppure, al di là dei timori iniziali, il bilancio dell’elezione è complessivamente positivo. Secondo il rapporto preliminare della missione di osservatori internazionali guidata da Máximo Zaldívar per la Fondazione Internazionale per i Sistemi Elettorali, il 99,8% dei seggi ha aperto regolarmente i battenti, dimostrando un livello organizzativo di rilievo in un Paese grande e complesso come il Messico. Lungi dall’essere un voto di facciata, i fatti mettono in luce un desiderio di partecipazione: code lunghe e affluenze medie in diverse regioni dimostrano che, dove il confronto e la comunicazione con l’elettorato sono stati più incisivi, i cittadini hanno risposto con interesse. Gli analisti hanno inoltre sottolineato la posizione presa da Sheinbaum a favore della sovranità popolare, che ha ripreso il motto di Benito Juárez «Con il popolo tutto, senza il popolo nulla» e ha posto l’accento sulla democratizzazione della giustizia come fattore di equità sociale.

A poche settimane da questa tornata elettorale nazionale, la presidente ha sfruttato la vetrina internazionale per rimarcare la visione di un Messico che non si limita a legiferare per sé, ma si propone anche come difensore instancabile dei diritti dei propri connazionali all’estero e come baluardo della sovranità giudiziaria. Sul fronte migratorio, Sheinbaum ha espresso «impegno incrollabile» a tutela dei diritti dei messicani negli Stati Uniti, criticando duramente le operazioni di polizia che violano il principio del diritto a un quo processo e incidono sulla dignità dei migranti. In un comunicato del 10 giugno, la presidente ha invitato le autorità statunitensi a «garantire che tutte le procedure migratorie si svolgano nel rispetto dello stato di diritto e della dignità umana», richiamandosi a una visione della migrazione come fenomeno da gestire in chiave umanitaria e di corresponsabilità regionale. Questa posizione si inserisce in una strategia diplomatica attenta a non interferire nella politica interna altrui, ma al contempo decisa a utilizzare «tutti i canali diplomatici e legali disponibili» contro pratiche che «criminalizzano i migranti» e mettono a rischio «la sicurezza e il benessere delle comunità messicane negli USA».

Parallelamente, il Messico ha preso posizioni nette anche rispetto alle vicende giudiziarie estere che coinvolgono figure politiche di primo piano. A margine della recente condanna confermata contro l’ex presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner, la leader messicana ha espresso «tutta la nostra solidarietà» nei confronti della peronista, definendo la vicenda «una questione più politica che giuridica» e ribadendo l’opposizione del suo governo a qualunque forma di «persecuzione politica» mascherata da processo giudiziario.

Questa doppia proiezione – interna e internazionale – disegna il profilo di un Messico che vuole riposizionarsi come protagonista di primo piano nella difesa dei diritti umani e della giustizia, sia dentro i propri confini sia sul palcoscenico panamericano. Il nuovo sistema elettorale giudiziario, pur sperimentale, è chiamato a consolidarsi e a migliorare nei prossimi anni. Già è stato annunciato un secondo turno di elezioni nel 2027 per coprire centinaia di ulteriori posti, mentre si attendono i risultati dei conteggi distrettuali che stabiliranno la composizione definitiva della Suprema Corte di Giustizia della Nazione, del Tribunale di Disciplina Giudiziaria, del Tribunale Elettorale e dei magistrati di circuito.

Le sfide, indubbiamente, sono ancora molte. La bassa affluenza dovrà essere affrontata attraverso strategie di alfabetizzazione civica e informazione capillare, affinché l’elettore non si senta spaesato di fronte a centinaia di nomi sconosciuti. Dovrà altresì essere garantita la trasparenza nella selezione, per evitare eventuali infiltrazioni da parte della criminalità organizzata, come avvertito da esperti delle Nazioni Unite. Infine, servirà un monitoraggio costante e un dialogo permanente con la popolazione affinché l’equilibrio tra democrazia diretta e professionalità giudiziaria non si traduca in un pericoloso populismo.

Traendo un bilancio finale, la prima elezione giudiziaria in Messico segna un passo decisivo verso un modello di Stato di diritto più partecipativo e rispondente alle istanze popolari. L’entusiasmo delle autorità e le critiche degli osservatori internazionali disegnano un’inedita dialettica fra innovazione e prudenza, che dovrà trovare il giusto equilibrio nelle future tornate elettorali. Contestualmente, l’impegno diplomatico di Sheinbaum sul tema migratorio e sul sostegno a Cristina Kirchner testimonia una politica estera attiva e coerente con i principi di sovranità e diritti umani che sottendono anche la riforma giudiziaria interna. Se il cammino intrapreso verrà portato avanti con determinazione e rigore, l’esperimento messicano potrà diventare un esempio virtuoso per altri Paesi in cerca di una giustizia più trasparente e partecipata.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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