Il caso di Kilmar Abrego García, arrestato e deportato per “errore amministrativo” in un carcere salvadoregno, espone l’arbitrarietà dell’amministrazione Trump e la resistenza della magistratura a difesa dei diritti, culminata nell’ordine unanime (9‑0) della Corte Suprema di facilitare il suo ritorno negli USA.

“Come potrei contrabbandare un terrorista negli Stati Uniti? Non ne ho il potere”. Questa la reazione del presidente salvadoregno Nayib Bukele, rispondendo a Kaitlin Collins della CNN in un incontro alla Casa Bianca. La domanda si riferiva a Kilmar Abrego García, che l’amministrazione di Donald Trump aveva fatto arrestare nel mese di marzo e deportato, con altri 200 migranti, nell’orribile carcere Cecot (Centro de Confinamiento del Terrorismo) in El Salvador.
L’amministrazione Trump ha però ammesso che Abrego García è stato arrestato e deportato per “errore amministrativo”. Inoltre, un’analisi del New York Times ha rilevato che il 90 percento dei 300 individui trasportati a Cecot non aveva commesso alcun reato. Tutto è stato basato sulle accuse degli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia statunitense per il controllo delle frontiere e l’immigrazione.
Dopo l’arresto di Abrego García, i suoi legali hanno presentato denuncia e, poco a poco, la giudice distrettuale Paula Xinis del Maryland ha concluso che l’amministrazione aveva negato i diritti del migrante. Ha quindi ordinato che Abrego venga riportato negli USA, dove aveva ottenuto residenza legale nel 2019, dopo otto anni di residenza temporanea come rifugiato. García è anche sposato con una cittadina americana. Il giorno del suo arresto, García era andato a prendere il figlio di cinque anni a scuola.
L’amministrazione Trump aveva fatto ricorso alla Corte d’Appello, la quale ha confermato la decisione della giudice Xinis. Un ulteriore ricorso è stato presentato alla Corte Suprema, che ha accettato il caso decidendo, con voto unanime (9‑0), che l’amministrazione deve “facilitare” il ritorno di García negli USA. La Corte Suprema ha inoltre stabilito che il giudice non deve interferire nella conduzione degli affari esteri dell’esecutivo, ma che i migranti hanno diritto a far esaminare i loro casi da un giudice di immigrazione prima di essere deportati.
Il linguaggio della Corte Suprema di “facilitare” è ambiguo, e i rappresentanti di Trump lo hanno interpretato con poco entusiasmo, ossia senza alcuna intenzione di riportare García negli USA. All’incontro alla Casa Bianca, Matt Bondi, il ministro di Giustizia, ha dichiarato che non possono fare nulla poiché la decisione spetta a Bukele. Questi, ovviamente, obbedirebbe alle autorità americane anche per non mettere in pericolo il contratto con gli USA di milioni di dollari annui per incarcerare i migranti che Trump fa inviare in El Salvador. Bondi ha aggiunto che, se Bukele vuole rilasciare García, gli USA potrebbero fornire un aereo per riportarlo negli USA.
L’amministrazione Trump sta dando tutti i segnali di non rispettare i diritti civili dei migranti e anche di studenti stranieri. Come abbiamo già scritto in queste pagine, non pochi studenti che hanno partecipato a manifestazioni per la causa palestinese hanno perso il visto ed alcuni sono stati arrestati e si trovano detenuti in Louisiana.
Le udienze presso il tribunale del Maryland, dinanzi alla giudice Xinis, sono state riprese. La giudice ha dato chiare indicazioni ai rappresentanti di Trump, dichiarando che intende procedere con sollecitudine e che non tollererà “scherzi”, minacciando i legali di Trump persino di “contempt of court” (oltraggio alla Corte). Ciò significa che i rappresentanti di Trump nelle udienze e altri interpellati a testimoniare sotto giuramento potrebbero essere soggetti a multe o persino al carcere. Xinis, in effetti, sta facendo sul serio. Fa sul serio anche il giudice federale di Washington D.C. James Boasberg, che ha minacciato l’amministrazione Trump di oltraggio alla Corte per non avere dimostrato di offrire a centinaia di migranti venezuelani la possibilità di contestare legalmente la loro deportazione.
Fa bene, perché al di là della protezione dei diritti civili di García, residente legale negli USA, potrebbe arginare le sfide di Trump e dei suoi collaboratori al sistema giudiziario. Il 47esimo presidente, infatti, ha ammesso che deportare cittadini americani nei carceri di El Salvador potrebbe diventare possibile. Ciò dovrebbe far rabbrividire tutti gli americani. Rina Gandhi, una delle legali di García, ha colto molto bene la tragica situazione che va oltre il suo assistito. Parlando davanti ai giornalisti ha detto che questo caso verte sulla “rimozione illegale, ammessa anche dal governo, di un individuo dalla sua casa, dalla sua famiglia”, e sulla disobbedienza alla Corte Suprema nel correggere l’illegalità commessa. Se Trump la fa franca nel caso di García, si tratterà di una sconfitta per tutti gli americani e causerà la perdita di fiducia nel sistema costituzionale americano.
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