Dagli Stati Uniti, Domenico Maceri ci offre la sua lettura dello scontro avvenuto alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Zelens’kyj. Disclaimer: le opinioni espresse nell’articolo riflettono unicamente il punto di vista dell’autore.

“Metterò un vestito dopo la fine della guerra e sarà simile al suo, forse migliore e forse anche meno caro”, così Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, rispondendo alla domanda del giornalista Brian Glenn, che aveva chiesto perché non rispetta il decoro della Casa Bianca con il suo vestito casual.
I vestiti con stile militare di Zelensky, da quando è iniziata la guerra, riflettono la tragica situazione del Paese. Zelensky approfitta di ogni occasione per ricordare al mondo che la sua nazione è in guerra e che la sicurezza dell’Ucraina dipende dalla cooperazione e lavoro di tutti i suoi concittadini, e lui in prima fila. Il presidente Vladimir Putin, invece, in tutte le sue foto e filmati pubblici, si presenta con vestito e cravatta, suggerendo che tutto sia normale. In realtà, la Russia, nel conflitto che dura da tre anni – definito dal leader russo come “operazione militare speciale” e non guerra – ha perso centinaia di migliaia di soldati, molto di più degli ucraini.
L’attacco di Glenn a Zelensky, però, non è stato il più forte, poiché ambedue Donald Trump e il suo vice JD Vance hanno ferocemente aggredito il presidente ucraino in una specie di tag-team. Zelensky, a differenza di altri leader europei che hanno recentemente visitato Trump alla Casa Bianca usando toni leggeri e adulatori, ha usato un linguaggio realistico che non è stato gradito. Trump ha, in poche parole, minacciato Zelensky, che, se non firma l’accordo sulle terre ucraine e accetta la tregua, tutto potrebbe finire molto peggio, e il sostegno statunitense potrebbe finire. Vance ha anche lui messo del suo, accusando falsamente Zelensky di arroganza per non avere mostrato gratitudine per i sostegni degli Usa.
Zelensky ha controbattuto, ha ringraziato gli Usa in moltissime occasioni, aggiungendo però che gli Usa sono lontani dalla Russia, additando che una sconfitta ucraina potrebbe però rappresentare pericoli globali. Trump ha messo da parte questa asserzione, insistendo che Zelensky ha poche carte da giocare e deve essere ragionevole. Il presidente ucraino ha risposto che non si tratta di un gioco, ma della sicurezza di un Paese aggredito da una potenza più forte, la quale, se vittoriosa, non si fermerà all’Ucraina. Alla fine, Zelensky è partito senza però firmare l’accordo sulla condivisione delle risorse minerarie ucraine con gli Usa, ricevendo in cambio concrete misure per la sicurezza del suo Paese. Trump ha offerto solo vaghe promesse, reiterando la sua fiducia in Putin, intimando a Zelensky, con toni minacciosi – che alcuni hanno descritto come quelli di un boss del crimine organizzato.
In effetti, Trump ha agito principalmente come agente del presidente russo, invece di un alleato dell’Occidente, continuando a rifiutare chi è stato l’aggressore e chi l’aggredito. La reazione russa è stata di grande compiacimento, perché hanno visto il presidente ucraino ricevere il trattamento che, secondo loro, si meritava. In sintesi, Trump ha preso completamente la parte dei russi, abbandonando non solo l’Ucraina, ma anche gli alleati europei che, in grande misura, continuano a sostenere Zelensky con parole e fatti.
Molti analisti hanno rilevato che il presidente ucraino sia uscito dalla Casa Bianca con le ossa rotte per il trattamento ricevuto; alcuni hanno suggerito l’ingenuità di Zelensky, altri hanno additato a un tranello nel quale lui ci è cascato. Zelensky ha riconosciuto che non tutto gli è andato bene e, in un’intervista alla Fox News e in messaggio su X (già Twitter), ha ringraziato profusamente l’America per i sostegni ricevuti, cercando di evitare la perdita di armi già promesse e ancora non consegnate. Sa benissimo che Trump potrebbe aggravare la sua situazione. Da non dimenticare che, poco tempo fa, il presidente americano ha coperto di insulti Zelensky, chiamandolo un dittatore, poco popolare con gli ucraini, e che condurrà il suo Paese alla rovina. Tutte falsità che ripetono la disinformazione russa sull’Ucraina.
Nello scontro alla Casa Bianca, Zelensky si è difeso in inglese, la sua terza lingua dopo l’ucraino e il russo, mentre Vance è dovuto intervenire per dare una mano al suo capo, quando si è reso conto che faceva acqua da tutte le parti. Zelensky ha il grande merito non solo di difendere il suo Paese contro un dittatore spietato come Putin, come ci rivelano le tragiche scomparse di parecchi dei suoi avversari politici, ma anche di aver aperto ancor di più gli occhi all’Europa e ad altri Paesi, che, con Trump, gli Stati Uniti hanno perso il ruolo di leader delle democrazie – nel bene e nel male – che esistono dalla Seconda Guerra Mondiale. Dal primo mandato, l’attuale inquilino della Casa Bianca ha dato questi segnali; con il suo secondo mandato, i segnali stanno diventando più lampanti. Campanelli di allarme agli europei, i cui dubbi sull’affidabilità di Trump erano già evidenti dal 2017 al 2021, ma nel suo primo mese del secondo mandato sono chiarissimi. La ritirata da leader delle democrazie globali contro i regimi autoritari, messa a luce da Trump, è stata anche reiterata in parole chiare e semplici dal suo vice Vance, in un recente discorso davanti ai leader degli alleati europei. Il vicepresidente americano ha detto che “La minaccia” che lui vede per l’Europa “non è la Russia né la Cina… ma il ritiro europeo dei suoi valori fondamentali condivisi con gli Stati Uniti”. È proprio il contrario. Con Trump e Vance, i valori americani sembrano essere diventati quelli di regimi dittatoriali, i cui leader Trump ha spesso elogiato come “forti” e a cui lui stesso si ispira.
N.B.: le opinioni espresse nell’articolo riflettono unicamente il punto di vista dell’autore.
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