Donald Trump, le follie dell’imperatore

A poche settimane dall’insediamento di Donald Trump per il suo secondo mandato, le sue dichiarazioni sulle mire espansioniste degli USA suscitano preoccupazione. Annunciando piani per il controllo del Canale di Panama, del Canada e della Groenlandia, Trump dimostra di essere pienamente allineato con la tradizione dell’imperialismo statunitense.

Mancano ancora tre settimane alla fatidica data del 20 gennaio, quando Donald Trump riprenderà possesso della Casa Bianca per il suo secondo mandato alla guida degli Stati Uniti d’America, la massima potenza imperialista mondiale, ma le sue dichiarazioni circa le mire espansioniste della prossima amministrazione statunitense stanno già facendo discutere. Nel giro di pochi giorni, infatti, Trump ha pubblicamente affermato di voler annettere il Canada, acquistare la Groenlandia dalla Danimarca e riprendere il controllo del Canale di Panama.

Nel nostro precedente articolo, avevamo già affrontato la questione del Canale di Panama, con le dichiarazioni di Trump che sono arrivate proprio a ridosso del 35º anniversario dell’invasione statunitense di Panama del 20 dicembre 1989. Il presidente eletto degli Stati Uniti ha minacciato di riprendere il controllo del Canale se gli interessi statunitensi non saranno garantiti, definendo il Canale un “bene nazionale vitale“. In pratica, con il fare mafioso che caratterizza gli imperialisti statunitensi, Trump ha minacciato Panama, intimando al governo di ridurre i dazi per il transito delle navi battenti bandiera statunitense. Le affermazioni di Trump sono state naturalmente condannate da associazioni e forze politiche panamensi, oltre che da numerose voci della comunità internazionale, ma questi dissensi non sembrano aver riportato il presidente eletto sulla via della ragione.

Il 25 dicembre, infatti, Trump è tornato sulla questione del Canale di Panama attraverso il social network di sua proprietà, Truth Social: “Buon Natale a tutti, compresi i meravigliosi soldati della Cina, che gestiscono con amore, ma illegalmente, il Canale di Panama (dove abbiamo perso 38.000 persone nella sua costruzione 110 anni fa), assicurandosi sempre che gli Stati Uniti versino miliardi di dollari in fondi per la ‘manutenzione’, ma senza avere assolutamente voce in capitolo su ‘nulla’“, ha scritto Trump. Naturalmente, l’affermazione secondo la quale i soldati cinesi avrebbero in gestione il Canale di Panama risulta essere totalmente priva di fondamento, ma questo difficilmente i suoi elettori, che lo vedono come il nuovo Messia, possono saperlo.

Il Canale di Panama è sotto il controllo del governo panamense dal 1999, e la stessa Cina ha ribadito il suo sostegno alla sovranità di Panama, come dichiarato da Mao Ning, portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino: “Il Canale di Panama è una grande creazione del popolo panamense, e la Cina ha sempre sostenuto la loro giusta lotta per mantenere la sovranità sul Canale. […] La Cina continuerà a rispettare la sovranità di Panama sul Canale e lo riconosce come un passaggio internazionale permanentemente neutrale“.

Le accuse di Trump nei confronti della Cina sono state smentite anche dal presidente panamense José Raúl Mulino, che pure viene considerato come un esponente vicino a Washington, il quale ha dichiarato che il Canale “non è sotto controllo diretto o indiretto, né della Cina né della Comunità Europea, né degli Stati Uniti né di qualsiasi altra potenza“, affermando che tali dichiarazioni “distorcono la realtà“.

Se le uscite di Trump su Panama assumono un tono minaccioso e preoccupante, visto il precedente dell’invasione armata del 1989, quelle sul Canada rasentano il ridicolo. Nello stesso messaggio di auguri natalizi, il leader repubblicano ha scritto: “Anche (Buon Natale) al Governatore Justin Trudeau del Canada, i cui cittadini pagano tasse troppo alte, ma se il Canada diventasse il nostro 51º stato, le loro tasse si ridurrebbero di oltre il 60%, le loro imprese raddoppierebbero immediatamente di dimensioni e sarebbero protetti militarmente come nessun altro Paese al mondo“.

In questo messaggio, Trump ha dimostrato anche un’enorme ignoranza circa la politica canadese. Il presidente eletto ha infatti confuso il primo ministro canadese Justin Trudeau, che è il capo del governo, con il governatore generale, ovvero il rappresentante della monarchia britannica in Canada, incarico attualmente occupato da Mary Simon. Inoltre, Trump ignora probabilmente che il Canada dispone di un territorio ancora più vasto di quello degli Stati Uniti, essendo il secondo Paese più esteso al mondo dopo la Russia, e che è a sua volta una federazione composta da tredici unità territoriali di primo livello, denominate province e territori, che equivalgono agli Stati degli USA. In pratica, questo significa che, nell’assurda e assai improbabile ipotesi di un’annessione del Canada, gli Stati Uniti passerebbero da 50 a 63 Stati, e non a 51.

Infine, Trump ha messo nelle sue mire imperialiste anche la Groenlandia, l’isola più vasta del mondo, geograficamente attigua al Canada ma appartenente alla Danimarca, seppur con un’ampia autonomia: “Allo stesso modo, [auguri] alle persone della Groenlandia, che è necessaria agli Stati Uniti per scopi di sicurezza nazionale e che vogliono che gli Stati Uniti siano presenti, lo saremo!“, ha scritto Trump. Invero, questa non è la prima uscita fuori luogo compiuta da Trump sulla Groenlandia, visto che il presidente eletto ha espresso da tempo interesse per l’isola, definendone il possesso necessario per “la sicurezza nazionale e la libertà in tutto il mondo“.

In passato, Trump ha affermato la propria intenzione di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca, un metodo che gli Stati Uniti hanno utilizzato in numerose occasioni del passato per espandere il proprio territorio, acquistando la Louisiana dalla Francia (1803), la Florida dalla Spagna con il Trattato Adams–Onís (1819) e l’Alaska dalla Russia (1867). Gli Stati Uniti ritengono la Groenlandia fondamentale non solo per le risorse presenti nel sottosuolo e nei mari groenlandesi, ma anche e soprattutto per il controllo della rotta artica, che potrebbe fortemente avvantaggiare la Russia e la Cina nei commerci globali.

Tuttavia, anziché sedersi al tavolo delle trattative per cedere la Groenlandia, la Danimarca ha annunciato piani per potenziare le capacità difensive dell’isola. Secondo Euronews, il ministro della Difesa danese Troels Lund Poulsen ha dichiarato che il Paese investirà una somma “a due cifre” in miliardi di corone danesi per aggiornare i suoi sistemi di difesa, sebbene non abbia specificato l’importo esatto. L’investimento potrebbe variare da 1,34 miliardi di euro a 13,27 miliardi di euro.

Nel frattempo, il primo ministro della Groenlandia, Mute Egede, ha rapidamente respinto la proposta di Trump, affermando che “la Groenlandia appartiene al popolo groenlandese” e sottolineando che il Paese “non è in vendita e non lo sarà mai“. Egede ha inoltre evidenziato l’importanza di preservare la lunga lotta della Groenlandia per l’indipendenza. Come ricordato, infatti, nonostante la Groenlandia abbia un proprio governo, rimane parte della Danimarca sotto la corona danese, ed è stata una colonia danese fino al 1953, quando è diventata un distretto della Danimarca ed è stata completamente integrata nello Stato danese, conferendo ai groenlandesi la cittadinanza danese. Tuttavia, in Groenlandia molti partiti e movimenti continuano a sostenere l’idea del raggiungimento dell’indipendenza totale da Copenaghen.

Insomma, siano minacce reali o solamente trovate propagandistiche, le uscite di Trump a poche settimane dall’inizio del suo secondo mandato presidenziale dimostrano come la natura dell’imperialismo statunitense non cambi con l’alternarsi dei presidenti democratici e repubblicani, e dovrebbe far rinsavire una volta per tutte coloro che hanno sbandierato l’assurda idea di un “Trump pacifista” contro il “guerrafondaio Biden”. Parafrasando Simón Bolívar, “gli Stati Uniti sembrano destinati dalla provvidenza a precipitare il mondo nella miseria in nome della libertà”, e questo per la natura imperialista stessa degli USA, indipendentemente dall’identità dell’inquilino della Casa Bianca.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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