La nomina di Kash Patel alla guida dell’FBI da parte di Donald Trump alimenta timori di una stretta autoritaria sui media. Minacce dirette ai giornalisti e promesse di epurazioni delineano un clima ostile verso la libertà di stampa negli USA.

“Scoveremo i cospiratori non solo nel governo, ma anche nei media. Perseguiteremo quelli nei media che hanno mentito ai cittadini americani e hanno assistito Joe Biden a truccare l’elezione presidenziale.” Queste le parole di Kash Patel in un’intervista con Steve Bannon nel suo podcast War Room. Le dichiarazioni di Patel dovrebbero preoccupare non solo i media, ma tutti gli americani, poiché Donald Trump lo ha nominato nuovo direttore dell’FBI.
Patel, figlio di immigrati indiani, aveva lavorato nella prima amministrazione Trump sulla sicurezza nazionale, ma quando l’allora presidente cercò di candidarlo a vice della CIA o dell’FBI, la nomina fu bloccata da membri dell’establishment dell’intelligence. Questa volta potrebbe andargli meglio. L’attuale direttore dell’FBI, Christopher Wray, nominato da Trump nel 2017 e confermato da Biden, avrebbe un mandato fino al 2027 e ha dato segnali di non voler dimettersi. Trump, però, ha già indicato che, se Wray insiste a non lasciare volontariamente, lo licenzierà.
Patel dovrebbe essere confermato dal Senato, e al momento non si sa se ce la farebbe, considerando la sua limitata esperienza e i suoi toni battaglieri. Patel ha anche dichiarato che, da direttore dell’FBI, caccerebbe tutti i 7.000 agenti da Washington e li manderebbe fuori ad arrestare i criminali che imperversano negli USA. Patel non capisce che molto del lavoro svolto dai dipendenti dell’ufficio dell’FBI a Washington consiste in supporto amministrativo, informatico e scientifico agli agenti che, a volte, arrestano criminali.
Comunque andrà a finire, la minaccia di Patel ai media è reale per la nuova amministrazione Trump. Da candidato presidenziale, Trump aveva denunciato il New York Times e la CBS per una somma di 10 miliardi di dollari. Adesso, da presidente, Trump avrebbe anche le leve del governo per “punire” i nemici, e i media sarebbero uno dei bersagli in prima fila. Una delle agenzie che il 47esimo presidente potrebbe usare è la Federal Communications Commission, che regola la comunicazione dei media. L’agenzia include cinque membri nominati dai presidenti, ma solo tre di loro possono appartenere a un partito. Il direttore è scelto dal presidente.
Come ha indicato in campagna elettorale e anche con le recenti nomine del suo Gabinetto, Trump intende circondarsi di individui la cui prima qualità consiste nella fedeltà al capo. Patel è uno dei casi più eclatanti. Un altro caso è stato quello di Matt Gaetz, che Trump aveva nominato ministro della Giustizia. Dopo otto giorni, Gaetz ha rifiutato la nomina, avendo capito che il Senato non lo avrebbe confermato.
I media sono preoccupati dalla nuova amministrazione Trump, come ci conferma un comunicato del Committee to Protect Journalists (CPJ). All’indomani dell’elezione presidenziale del 2024, il CPJ ha rilasciato un comunicato mettendo in risalto il clima ostile per la libertà di stampa in una seconda amministrazione Trump. Il comunicato cita, fra l’altro, “la persecuzione e l’incarceramento… e persino l’uccisione di giornalisti in tutte le parti del mondo…” e asserisce che non “dovrebbero divenire comuni anche negli USA, dove le minacce di violenza online sono divenute frequenti in tempi recenti”.
Nelle sue tre campagne presidenziali, Trump ha attaccato i media innumerevoli volte, etichettandoli persino come “nemici del popolo”, linguaggio tipico di un regime autoritario e non democratico. In uno dei suoi tanti comizi, ha persino incitato i suoi sostenitori a malmenare i giornalisti presenti, aggiungendo che, in caso di problemi legali, avrebbe pagato le spese.
Il clima di ostilità verso i giornalisti è stato accolto da alcuni addetti con una certa conciliazione e tentativi di rapprochement. Vanno ricordati, nella recente campagna elettorale, gli endorsement a Kamala Harris dei consigli editoriali del Washington Post e del Los Angeles Times, che, all’ultimo minuto, furono bloccati dai proprietari Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong. Inoltre, Joe Scarborough e Mika Brzezinski, conduttori di un notissimo programma alla MSNBC che per anni hanno criticato Trump, si sono recentemente recati a Mar-a-Lago, il resort del neo eletto presidente, per “riaprire” il dialogo di comunicazione.
Oltre alla nuova amministrazione Trump, il pericolo per i media viene dalle piattaforme social. Spicca fra queste X (già Twitter), il cui padrone Elon Musk ha speso milioni di dollari e pubblicato migliaia di post per contribuire a fare eleggere Trump. L’uomo più ricco al mondo, che ha promosso l’elezione del presidente del Paese più ricco e potente al mondo, farà lo stesso in altri Paesi per contribuire a fare eleggere altri individui con aspirazioni autoritarie?
La sopravvivenza della democrazia richiede una robusta professione mediatica. Ce lo ha detto Joseph Pulitzer, noto giornalista il cui prestigioso premio riconosce i migliori giornalisti annualmente, quando, nel 1904, asserì che “Democrazia e giornalismo libero moriranno o progrediranno insieme”. Al momento, in America, nessuno dei due sembra brillare. Solo il 31 percento degli americani ha fiducia nei media, una cifra preoccupante. Si salvano, però, i media locali. Se da una parte sono anche loro in forte calo, i loro utenti hanno fiducia nelle informazioni che ricevono.
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