Il governo conservatore di Boris Johnson ha perso la maggioranza alla Camera dei Comuni: il progetto di Brexit entro fine ottobre rischia di non vedere la luce.
Salito al governo come successore della fallimentare Theresa May, il nuovo leader conservatore Boris Johnson aveva subito lasciato intendere che non si sarebbe arreso facilmente, ponendosi l’ambizioso obiettivo di raggiungere la tanto agognata Brexit entro la fine di ottobre, a cento giorni dalla sua entrata in carica. Johnson ha usato tutte le armi a sua disposizione per scavalcare un parlamento che quasi certamente avrebbe votato contro una Brexit senza accordo, il famoso no deal. Il suo shutdown delle camere non gli ha impedito di vedere la sua già flebile maggioranza erodersi progressivamente, fino a perderla del tutto, almeno alla House of Commons, la Camera dei Comuni.
A scatenare la potenziale crisi è stato il quarantottenne Phillip Lee, eletto sin dal 2010 in quota Conservative nel collegio elettorale di Bracknell, ma passato pochi giorni fa tra le fila dei Liberal Democrats. A nulla, invece, sono servite le elezioni nelle isole Shetland, dove si doveva eleggere il sostituto del liberl democratico Tavish Scott. Dopo aver ottenuto un ruolo di prestigio presso la Federazione Scozzese di Rugby, Scott aveva infatti rassegnato le proprie dimissioni, ma il seggio vacante è stato conquistato da una sua compagna di partito, Beatrice Wishart, che ha raccolto il 47.86% delle preferenze, superando Tom Wills dello Scottish National Party (32.32%), mentre il conservatore Brydon Goodlad non ha potuto fare meglio del 3.59%.
Contro un Johnson in piena crisi, si leva sempre più forte la voce del leader del Labour Party, Jeremy Corbyn, da molti considerato come il favorito per il ruolo di primo ministro nel caso di nuove elezioni. Corbyn, che ha sicuramente avuto il grande merito di imporre una virata a sinistra ai laburisti dopo i tristi anni di Tony Blair e Gordon Brown, ha però assunto una posizione troppo ambigua nei confronti della Brexit. Per distinguersi dal suo avversario, Corbyn dovrebbe sottolineare che la Brexit resta inevitabile nel rispetto del referendum del 2016, ma che i laburisti permetteranno al Regno Unito un’uscita dall’Unione Europea dalla porta di sinistra, contro le politiche neoliberiste che Johnson imporrebbe al Paese in accordo con gli Stati Uniti di Donald Trump. Tale deve essere la divergenza tra il governo Johnson ed un potenziale governo Corbyn, senza mettere in dubbio la necessità di abbandonare quel Leviatano morente che è l’Unione Europea.
Favore alla Brexit è anche la posizione del Communist Party of Britain, che si dichiara per “un’uscita dall’Unione Europea che renda possibile una risposta democratica e di sinistra alla crescente crisi economica ed ecologica del nostro Paese“. Il partito guidato dal segretario Robert David Griffiths si dichiara favorevole all’instaurazione di un governo a guida laburista, a patto che questo si impegni a procedere sulla strada della Brexit: “Il parlamento britannico deve essere in grado di rigenerare l’economia nazionale e regionale attraverso l’interventismo statale e banche di investimento nazionali e regionali. Nulla di tutto questo sarebbe possibile all’interno del mercato unico europeo“. I comunisti britannici, infine, invitano a cogliere l’attimo politico: “La sinistra deve avvantaggiarsi in qualsiasi modo del caos, della debolezza e delle divisioni tra i Tories e nell’establishment che li sostiene. Solamente un governo guidato da sinistra può rendere possibile una soluzione genuinamente democratica agli enormi problemi della stagnazione economica, dell’ingiustizia sociale, delle emissioni di gas serra e delle minacce alla pace internazionale“.
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