Regno Unito: Boris Johnson, o la Brexit o la morte

Nelle prossime settimane Boris Johnson si gioca tutta la sua futura carriera. Il premier britannico sembra irremovibile: o la Brexit entro la fine di ottobre o una dolorosa morte politica.

Non è ancora passato un mese dall’inizio del mandato di Boris Johnson alla guida del governo britannico di stampo conservatore, eppure c’è già chi ne prospetta la fine. Il cinquantacinquenne nato a New York, in effetti, si gioca il proprio futuro politico nelle prossime settimane, e tutto si baserà sulla promessa di dare vita alla Brexit entro fine ottobre, anche a costo di un no deal, ovvero un’uscita senza accordo con gli organismi dell’Unione Europea.

Per questo motivo, Johnson avrà nei prossimi giorni un’agenda fittissima di incontri con le istituzioni dell’Unione Europea ed i leader degli altri Paesi membri più importanti, nel tentativo – apparentemente vano – di trovare un compromesso che permetta al Regno Unito di abbandonare l’organizzazione sovranazionale senza troppi dolori. Non dovesse riuscirci, la sua carriera politica potrebbe essere destinata ad una rapida fine, proprio come accaduto a colei che l’ha preceduto, Theresa May.

Secondo un sondaggio pubblicato dalla testata The Independent, solamente il 34% dei britannici sosterrebbe il piano dell’attuale premier per uscire dall’UE ad ogni costo entro il 31 ottobre, mentre il 49% sarebbe favorevole ad un rinvio della Brexit, magari dopo un secondo referendum sull’argomento. Inoltre il 42% dei cittadini preferirebbe che la decisione finale venisse sottoposta al voto del Parlamento, mentre il 39% vorrebbe che fosse il governo a prendere una decisione senza appello. Nel caso di un voto del Parlamento, del resto, ogni possibilità di no deal salterebbe, visto che a votare contro non sarebbero solamente i membri degli altri partiti, ma anche un gruppo non trascurabile dei rappresentanti del Conservative Party di Johnson, come ha potuto sperimentare in precedenza Theresa May.

Alcuni analisti politici già puntano sulla caduta a breve termine del governo di Boris Johnson, che potrebbe così diventare il più breve nella lunga storia politica britannica, battendo il primato di George Canning, che ricoprì l’incarico di primo ministro per soli quattro mesi nel 1827. Il leader dell’opposizione, il laburista Jeremy Corbyn, ha addirittura proposto di sostenerlo temporaneamente come primo ministro per gestire in maniera più oculata la Brexit, evitando così un no deal. Corbyn vorrebbe proporre un voto di fiducia per far cadere il governo Johnson già il 3 settembre, alla fine delle vacanze estive dei parlamentari britannici. In caso di sconfitta di Johnson, ci sarebbero due settimane di tempo per formare una nuova maggioranza. L’altra possibilità, è invece quella di andare a nuove elezioni, che potrebbero portare ad equilibri completamente diversi tra le forze politiche.

Quello che è certo è che Johnson è un uomo politico navigato che sa di giocarsi tutto nelle prossime settimane. Sebbene molti lo abbiano paragonato a Donald Trump – un po’ per la capigliatura, un po’ per le posizioni politiche di destra – Johnson vanta una lunga carriera che invece non ha il presidente degli Stati Uniti. Eletto in parlamento sin dal 2001, Johnson ha ricoperto incarichi di rilievo come quello di sindaco di Londra (2008-2016) e di Segretario di Stato per gli Affari Esteri (2016-2018), prima di prendere in mano le redini del governo.

In conclusione, per Johnson si prospettano giorni duri al lavoro per riuscire a sottrarre il suo Paese dalle grinfie di quel Leviatano morente chiamato Unione Europea, e per combattere contro la campagna mediatica messa in atto dagli anti-Brexiters, che prospettano un futuro apocalittico in caso di uscita dall’UE. Al contrario, quello che stiamo constatando, e soprattutto quello che stanno vivendo sulla propria pelle le classi più deboli, è che tutte le tragedie che si dovrebbero verificare fuori dall’Unione Europea stanno invece prendendo vita all’interno della stessa: disoccupazione, diminuzione dei salari, crollo di tutti i settori economici – persino nella “locomotiva” Germania – sono solamente alcuni dei mali incurabili che affliggono il Leviatano morente di cui sopra. La nostra posizione, naturalmente, non vuole significare un appoggio incondizionato al governo Johnson, al quale potranno essere imputate ben altre malefatte (politiche interne conservatrici e liberiste in pura tradizione Tories), ma un appoggio limitato unicamente al progetto di uscita dall’UE, strada che ci auspichiamo venga al più presto seguita anche dall’Italia e dagli altri Paesi membri.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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