
Era il 1992, quando, poco dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i comunisti abbandonarono definitivamente il potere in Tajikistan: il primo ministro Izatullo Khayoyev fu sostituito da Akbar Mirzoyev, mentre il presidente Rahmon Nabiyev fu costretto a cedere il posto ad Emomali Rahmon. Da allora, numerosi nomi si sono alternati al posto di capo del governo, ma la poltrona presidenziale è rimasta saldamente in mano ad Emomali Rahmon, che dal 20 novembre 1992 detiene ininterrottamente la più alta carica dello stato.
Nel 1994, Rahmon fondò anche il Partito Democratico Popolare del Tajikistan, (Ҳизби халқӣ-демократӣ Тоҷикистон, traslitterato in Hizbi Khalqī-Demokratī Tojikiston), forza politica che da allora ha sempre ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni, con percentuali superiori al 60% ed in alcuni casi addirittura all’80%, come in occasione delle presidenziali 2013, che hanno consegnato a Rahmon il quarto mandato consecutivo. Come fatto notare dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dal 1992 ad oggi nessuno dei processi elettorali affrontati in Tajikistan è stato giudicato libero e democratico, anzi sono spesso stati denunciati brogli in favore di Rahmon e del suo partito. Le politiche di Rahmon, oltre ad essere criticate per la scarsa democraticità, sono anche tristemente celebri per essere fortemente repressive verso gli oppositori politici e le minoranze etniche, nonché spiccatamente anti-russe. Basti pensare che nel 2007 fu promulgata una legge che vietava i nomi ed i cognomi di origine slava, con il fine di riscoprire le radici e la cultura tagike: lo stesso capo dello stato cambiò il proprio nome da Imomali Rahmanov ad Emomalii Rahmon, obbligando naturalmente tutti i quasi otto milioni di suoi concittadini a fare lo stesso, considerando queste nomenclature come un retaggio del periodo sovietico.
Anche quest’anno, al momento di rinnovare la composizione della camera bassa del parlamento, denominata Majlisi namoyandagon (Assemblea dei rappresentanti), le urne hanno assegnato il 62.5% dei voti al partito di governo, confermando Kokhir Rasulzoda, in carica dal 2013, come primo ministro. All’opposizione, troviamo il Partito Agrario (Hizbi Agrarii Tojikiston) con l’11.8%, mentre le altre forze politiche non hanno raggiunto il 10% dei suffragi. Da notare, però, che le due principali storiche forze di opposizione a Rahmon, il Partito Comunista HKT (Hizbi Komunistii Tojikiston) e gli islamisti del Partito della Rinascita Islamica (Hizbi Nahzati Islomii Tojikiston) non hanno preso parte alla tornata elettorale, denunciando ancora una volta l’illegittimità del potere del presidente in carica e le forme di repressione che hanno subito e continuano a subire.
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