
Poco o nulla è cambiato in seguito alle elezioni presidenziali dello scorso 26 giugno in Mongolia: il 50enne Tsakhiagiin Elbegdorj è stato infatti confermato alla presidenza del Paese asiatico per un secondo mandato di quattro anni, dopo quello ottenuto con le elezioni del 2009.
Il Presidente in carica, leader del Partito Democratico (Ardchilsan Nam), la principale formazione del centro-destra mongolo, ha ottenuto il 50,23% dei consensi, contro il 41,97% del suo principale rivale, Badmaanyabuugiin Bat-Erdene, del Partito Popolare Mongolo (Mongol Ardiin Nam). Nato nel 2011 da una scissione del Partito Popolare Mongolo, il Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo (Mongol Ardyn Khuvsgalt Nam) ha invece ottenuto il 6,50% dei voti con il suo candidato Natsagiin Udval, che rappresenta la leadership dell’estrema sinistra nel Paese e ricopre il ruolo di Ministro della Sanità.
Poiché Elbegdorj ha ottenuto oltre il 50% dei consensi, il secondo turno non ha avuto luogo, ed il 10 luglio scorso è stato ufficialmente inaugurato il suo secondo mandato presidenziale.
Sebbene queste elezioni vengano salutate in occidente come “un ulteriore passo verso la democrazia per la Mongolia”, come affermato dal presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, il Paese senza sbocchi sul mare sta anche vivendo un forte aumento della corruzione nella sfera politica. Questa è una delle principali accuse mosse dalle forze di sinistra a Elbegdorj, che è ormai presente nelle sfere del potere da molto tempo. Il suo primo mandato come Primo Ministro, infatti, risale al 1998, mentre la sua prima elezione in Parlamento è datata addirittura 1990, subito dopo la fine della Repubblica Popolare.
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