
Spesso si dice che il sistema partitico di un Paese rappresenta, come uno specchio, la società dello stesso. Un esempio di ciò si ha nelle Filippine, stato frammentato per eccellenza: geograficamente, visto che l’arcipelago comprende oltre 7.000 isole; politicamente, per via del grande numero di partiti che si presentano ad ogni campagna elettorale; socialmente, a causa delle grandi differenze e dei conflitti esistenti in seno alla società filippina.
Tutti questi elementi sono emersi in occasione delle elezioni di maggio, con le quali i filippini hanno eletto i nuovi rappresentanti del Parlamento bicamerale, formato dal Senato (rinnovato solo a metà) e dalla House of Representatives. La conseguenza di questa frammentazione è la grande difficoltà per trovare un accordo che porti alla formazione di un nuovo governo, che deve sempre tenere conto delle alleanze con i piccoli partiti locali per non collassare.
Dei 292 seggi della Camera, 110 sono andati al Partito Liberale (Partido Liberal ng Pilipinas), che si conferma la prima forza del Paese, con il 39% dei consensi (il doppio rispetto alle ultime elezioni). In leggera crescita anche i Nazionalisti dell’NPC (Nationalist People’s Coalition – Koalisyong Makabayan ng Bayan), che raccolgono 43 seggi. A farne le spese è invece il Partito di Unità Nazionale (Partido ng Pambansang Pagkakaisa), che passa da 30 a 24 rappresentanti. Questi risultati dovrebbero portare ad una riconferma del liberale Feliciano Belmonte Jr. per il ruolo di Presidente della House of Representatives, che già ricopre dal 2010. In totale, 62 partiti, molti dei quali sono locali, hanno ottenuto almeno un seggio.
Il Senato è invece formato da 24 seggi, 12 dei quali sono stati rinnovati lo scorso mese. I liberali, grazie alla loro coalizione con altri partiti sotto il cartello del Team PNoy, hanno guadagnato un seggio, rafforzando così la loro maggioranza, ora fissata a quota 15. L’Alleanza Nazionalista Unita(Nagkakaisang Alyansang Makabansa) ha invece ottenuto un aumento di due rappresentanti, giungendo a quota 5. Anche in questo caso, i liberali dovrebbero far eleggere un Presidente del Senato proveniente dalle proprie fila.
Il risultato rafforza soprattutto il potere del Presidente Benigno Aquino III, in carica dal 30 giugno 2010, che si appoggia proprio ai liberali, e che può essere considerato il vero vincitore di questa tornata elettorale.
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