
L’Islanda era stata considerata da molti come un esempio di rottura dell’ordine prestabilito, soprattutto durante le fasi più acute della crisi economica globale, che non ha risparmiato l’isola nordica. Non a caso, l’Islanda è uno dei Paesi dei abbiamo trattato più spesso, per questo non torneremo su quanto accaduto durante la crisi.
Il mese scorso gli islandesi sono stati chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento (Althing), composto da 63 seggi: da questo voto ci si aspettava molto, qualcosa che mettesse in crisi i partiti tradizionali, dando un segnale di rottura con il sistema che aveva portato al collasso il Paese. Al contrario, ad uscire vincitori sono stati due partiti di centrodestra: il Partito dell’Indipendenza (Sjálfstæðisflokkurinn) e il Partito Progressista (Framsóknarflokkurinn).
Le due forze liberali hanno ottenuto 19 seggi a testa, mentre l’Alleanza Socialdemocratica (Samfylkingin) è stata la vera sconfitta della tornata elettorale: i suoi voti sono più che dimezzati, così come i suoi seggi, passati da 20 a 9. Stesso discorso per i Verdi di VG (Vinstrihreyfingin – grænt framboð), ridotti da 11 a 7 rappresentanti in seno all’Althing.
Il voto, tra l’altro, può dirsi altamente rappresentativo della volontà del popolo islandese, visto che l’81,44% degli aventi diritto si è recato alle urne, una percentuale molto più alta rispetto a quelle che si registrano in questo periodo in alti Paesi.
Queste elezioni hanno anche segnato la comparsa di due nuove forze: Futuro Luminoso (Björt framtíð), un partito liberale staccatosi dal Partito Progressista, che ha ottenuto 6 seggi; i Pirati (Píratar), rappresentati di quella formazione politica transnazionale che sta crescendo ovunque in Europa (3 seggi).
Come conseguenza del voto, il nuovo Primo Ministro è diventato il giovane Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, 38 anni, leader del Partito Progressista, che prende il posto della socialdemocratica Jóhanna Sigurðardóttir.
I due partiti di centro-destra che hanno formato il nuovo governo si caratterizzano per un forte euroscetticismo, il che mette in dubbio il possibile ingresso dell’Islanda nell’Unione Europea. Questa è forse una delle poche cose che ci si poteva aspettare dopo la crisi economica, visto che l’Islanda ha dimostrato di essere in grado di venirne fuori molto meglio dei Paesi dell’UE. L’altro elemento prevedibile è certamente la crescita del Partito Pirata, una forza che ha già dato dimostrazione della sua efficacia in altri Paesi Europei, soprattutto in Germania.
Alla chiusura delle urne, il leader del Partito dell’Indipendenza, Bjarni Benediktsson, ha dichiarato che la politica del nuovo governo sarà diametralmente opposta a quella che il centrosinistra ha portato avanti nell’ultimo quadrienni: “Loro hanno scelto di aumentare le tasse, noi stiamo parlando di diminuire le tasse e dare enfasi alla crescita. Abbiamo avuto una crescita insufficiente negli ultimi anni e penso che questa sia ciò che le persone considerano come l’unica via. Stiamo offrendo una nuova via di crescita, protezione sociale, miglior welfare e creazione di posti di lavoro”.
Queste elezioni dimostrano forse che la fiducia nelle istituzioni democratiche è davvero molto forte in un Paese come l’Islanda, che non si è lasciato smuovere nelle proprie certezze neppure dalla crisi economica. Vedremo se il futuro darà ragione agli islandesi: certamente, una volta toccato il fondo, l’economia del piccolo stato nordeuropeo non potrà far altro che risalire.
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