Lo stadio di Damasco

Troppo spesso, negli ultimi anni, quando si parla di guerre, sembra di assistere ad una partita di calcio: due squadre rivali che si affrontano, con tanto di tifosi da tutto il mondo al seguito. Ed è così anche nel caso del conflitto siriano, dove a livello internazionale gli stati, le forze politiche e le singole persone sembrano fare un tifo sfegatato per una delle due “squadre” in “campo”.Tutto questo ha senso? Ciò che sta avvenendo in Siria è una vera e propria guerra civile, non è una rivoluzione contro il regime di Bashar al-Assad, ma è un conflitto tra i sostenitori di Assad ed i suoi oppositori. Sono conflitti tipici di molti Paesi del medio-oriente, così come – sebbene con caratteristiche diverse – dell’Africa: dall’esterno può sembrare che sia in gioco un cambiamento politico all’interno della Siria, ma in realtà ciò che si vuole cambiare è semplicemente il nome di chi governa e, di conseguenza, il gioco delle alleanze internazionali in un’area di rilevanza geopolitica come il Medio Oriente.

Lo abbiamo già visto in Egitto, dove, dopo la caduta di Hosni Mubarak, le proteste sono continuate perché nulla sembra essere cambiato per la vita dei singoli cittadini e non vi è stato nessun cambiamento del regime politico reale. Uno scenario simile si può preconizzare per la Siria, con il rischio che il “populismo” dei fondamentalisti musulmani possa avere la meglio grazie all’estasi derivante da una eventuale caduta di Assad.

Oltretutto, sembrerebbe che ai crimini perpetrati dal regime, si siano affiancati anche quelli dei “ribelli”, rei di aver proceduto ad esecuzioni sommarie, violando il diritto internazionale e macchiandosi, quindi, di crimini di guerra secondo la legge umanitaria internazionale delle Convenzioni di Ginevra. Del resto, lo stesso è avvenuto pochi mesi fa in Libia, un’esperienza che dovrebbe già averci dimostrato che la violenza dei “ribelli” è pari a quella del regime.

Oltretutto, il conflitto siriano sta facendo salire la tensione anche nel vicino Libano: da sempre le vicende interne ai due Paesi sono collegate, e le bombe che sono esplose a Beirut nelle ultime settimane ne sono la dimostrazione.

In questo spargimento di sangue continuo da entrambe le parti (200 morti al giorno!), che senso ha incoraggiare la prosecuzione della guerra civile? Gli stati di tutto il mondo, anziché scegliere qualcuno da supportare, dovrebbero innanzi tutto impegnarsi a mediare tra le due parti, mettendo fine al conflitto. Dopo di che, potranno iniziare delle trattative che abbiano come unico obiettivo il benessere della popolazione siriana, e non l’interesse particolare di Assad o di qualche capo dell’opposizione.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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