Pence da “eroe” americano a rivale di Trump

Mike Pence, il vicepresidente che ha disobbedito a Donald Trump durante l’assalto al Campidoglio, potrebbe diventare il principale rivale dell’ex presidente alle primarie repubblicane. Il nuovo articolo di Domenico Maceri sulla politica statunitense.

Mike Pence non ha avuto il coraggio di essere un grande. Aveva avuto l’opportunità di entrare nella storia ma non ha avuto il coraggio di agire”. Così Donald Trump in un discorso davanti alla Faith and Freedom Coalition, un gruppo di evangelici con tendenze conservatrici. Trump si riferiva al fatto che, nelle recenti audizioni della Commissione di inchiesta sugli assalti al Campidoglio, il suo ex vicepresidente è stato esaltato per non avere cooperato a ribaltare l’esito elettorale il 6 gennaio del 2021.

Pence è stato lodato da Bennie Thompson, parlamentare democratico del Mississippi, e Liz Cheney, parlamentare repubblicana del Wyoming, rispettivamente presidente e vicepresidente della commissione sugli eventi del 6 gennaio 2021. Infatti, per la sua condotta durante il periodo prima della certificazione di Joe Biden a presidente, Pence si è comportato in maniera eroica anche se è ben lungi dall’essere un eroe. L’ex vicepresidente ha agito in modo tradizionale svolgendo il ruolo cerimoniale della sua carica, esibendo anche un certo coraggio nonostante le insistenti minacce del suo capo. Trump voleva che Pence non accettasse la validità dei grandi elettori di 7 Stati che secondo lui erano risultati di frode elettorale. Si tratta, come ci hanno reiterato le recenti audizioni alla Camera, di falsità inventate dall’ex presidente. Lo hanno confermato persino il suo ex ministro della Giustizia Bill Barr e tanti altri ex membri dell’amministrazione del 45esimo presidente. Anche la figlia Ivanka aveva indicato approvazione per l’analisi di Barr sull’assenza di frode elettorale, beccandosi il rimprovero del padre, secondo il quale lei non era al corrente dei dettagli.

Le pressioni di Trump sul suo vicepresidente furono insistenti prima del 6 gennaio, ma specialmente nel fatidico lungo giorno della conferma di Biden a presidente. Il 45esimo presidente, la mattina del 6 gennaio, telefonò a Pence, e in una conversazione molto accesa lo minacciò con insulti dicendogli che era un “cagasotto”. Più tardi nel comizio ai suoi sostenitori, poche ora prima dell’assalto al Campidoglio, Trump disse che sperava ancora nella cooperazione di Pence. Poi, nel pomeriggio, quando divenne chiaro che Pence stava facendo il suo dovere, Trump inviò un tweet in cui diceva che il suo vice non aveva fatto il suo dovere. Subito l’informazione divenne nota ai riottosi, i quali poco tempo dopo presero d’assalto il Campidoglio, causando l’interruzione della certificazione di Biden a presidente. Pence e tanti altri senatori e parlamentari riuscirono a malapena a sfuggire agli assalitori. Dalle testimonianze nelle audizioni alla Camera, si è saputo che le grida di “impicchiamo Pence” furono ripetute in maniera costante. Pence riuscì con grandi difficoltà a essere messo in salvo anche se gli assalitori erano arrivati a 12 metri dal vicepresidente, che si trovava in un luogo nascosto. Sembra che Trump abbia detto che forse Pence meritava il suo destino di cadere nelle mani degli assalitori.

In effetti, Trump con il tweet in cui annunciava il “tradimento” di Pence, apriva la porta agli assalitori di farsi giustizia come credevano. Trump non diede l’ordine di mettere in pericolo l’incolumità del suo vice, ma sapeva benissimo che i suoi incitamenti avrebbero causato minacce e violenza contro i suoi avversari. Per i suoi incitamenti alla violenza, le piattaforme dei social lo hanno bandito, avendo capito che gli offrivano il microfono per mettere in pericolo la vita dei suoi “nemici”. La violenza per Trump incitata con le parole non è altro che un’arma politica che la stragrande maggioranza dei repubblicani non ha condannato.

Per cinque ore Pence rimase nascosto, ma, durante questo tempo, egli fece molte telefonate, agendo da vicepresidente vero, chiamando le forze armate, richiedendo che inviassero la guardia nazionale per cacciare i rivoltosi e ristabilire l’ordine. Trump, in quello stesso periodo di tempo, non ha fatto niente. Mentre il suo vice agiva da “de facto” presidente, l’allora inquilino della Casa Bianca non faceva il suo dovere di proteggere il Campidoglio e quelli in pericolo di vita, incluso il suo vicepresidente, che gli era stato fedelissimo per più di 4 anni. Alle 20, la procedura di certificazione ricominciò, dopo che la sicurezza del Campidoglio fu ristabilita. Alle 3:42 di mattina, il 7 gennaio 2021, Biden fu proclamato nuovo presidente.

Il comportamento di Pence nel seguire la Costituzione risparmiò al Paese seri disturbi sociali. Quindi tutti gli devono gratitudine per il suo atto di “tradire” il suo capo, disobbedendo alle richieste illegali. Va ricordato che, se il vicepresidente avesse il potere di ribaltare l’elezione senza seguire il volere del popolo, lo avrebbe fatto già Al Gore nel 2001, quando l’allora vicepresidente perse l’elezione presidenziale con un margine di 500 voti nello Stato di Florida. Gore, da vicepresidente in carica, ebbe il doloroso dovere di presidenziare alla certificazione di George W. Bush, il suo avversario. Anche nel 2017, Joe Biden, da vicepresidente in carica, ebbe il duro compito cerimoniale di certificare lo stesso Trump come presidente, per poi sconfiggerlo nell’elezione del 2020. Ma se Gore e Biden, come tutti i vicepresidenti prima di loro, hanno fatto il loro dovere di presiedere al trasferimento del potere, Trump aveva altre idee, che fortunatamente Pence non ha seguito.

Pence non parlò con Trump per cinque giorni dopo la certificazione di Biden, ma alla fine i due fecero pace. Si tratta però di una tregua, poiché Trump non dimentica. Adesso i due hanno preso strade diverse. Pence, dopo mesi di silenzio, ha dichiarato in un discorso che Trump aveva torto. Secondo lui, “la presidenza degli Stati Uniti non appartiene a un singolo individuo” ma al popolo americano. Trump, da parte sua, continua nella sua “big lie”, la grande menzogna dell’elezione rubata. I due, con ogni probabilità, potrebbero essere rivali nelle elezioni del 2024. Pence ha ricominciato a fare discorsi e offrire il suo endorsement a repubblicani che rientrano nelle caratteristiche dell’establishment, opposto al 45esimo presidente. Pence, però, non ha attaccato l’ex presidente. Sa benissimo che, per poter prevalere nelle primarie repubblicane, avrà bisogno di questi elettori. Avrà anche bisogno di attaccare i democratici come ha già iniziato a fare. Non ha ancora dichiarato la candidatura a presidente, ma i segnali sono evidenti. Ci saranno con ogni probabilità altri candidati oltre a Trump e Pence alle primarie. Pence, però potrebbe dichiararsi l’erede di Trump, citando giustamente la sua fedeltà di quattro anni, eccetto per il suo “atto coraggioso” di certificare Biden come presidente, secondo quanto richiesto dalla legge.

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About Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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