L’incapacità politica dei socialisti spagnoli

In Spagna, i socialisti avevano deciso di andare alle urne per ottenere una maggioranza più consistente, invece hanno solamente propiziato l’ascesa dell’estrema destra.

Il sistema politico spagnolo sta vivendo una crisi senza precedenti dalla democratizzazione post-franchista. Il susseguirsi di tornate elettorali non ha aiutato le forze in campo a trovare il bandolo della matassa e, anche dopo il confronto di domenica 10 novembre la situazione appare tutt’altro che lineare, con il rischio che neanche questa volta venga fuori un governo in grado di guidare il Paese.

Sebbene la crisi dei sistemi politici occidentali sia un elemento che accomuna molti Paesi occidentali, in Spagna parte della responsabilità ricade senza dubbio sui dirigenti del Partido Socialista Obrero Español (PSOE), una delle due forze tradizionali della politica spagnola, insieme al Partido Popular (PP), con il quale si alterna regolarmente al governo. Dopo essersi distinto nel mettere in crisi il governo popolare di Mariano Rajoy, come noto, il leader socialista Pedro Sánchez ha dato vita ad un governo di minoranza, sostenuto dalla sinistra, in particolare da Podemos.

Al tempo della formazione del governo di minoranza, avevamo sottolineato come Pablo Iglesias, leader di Podemos, avrebbe dovuto far attenzione a non trasformare il suo partito in una forza subalterna al PSOE. Al contrario, sono stati i socialisti a dimostrare di temere l’influenza di una sinistra percepita come troppo “radicale”. Di fatto, dopo le elezioni dello scorso 28 aprile, i due partiti avrebbero potuto formare un nuovo esecutivo di centro-sinistra, ma i socialisti hanno fatto di tutto per non andare al governo con Iglesias, preferendo andare a nuove elezioni.

Siamo dunque arrivati al nuovo confronto elettorale con Pedro Sánchez leader del primo partito spagnolo ma capo di un governo teorico e non esistente di fatto. Il PSOE sperava di ottenere un incremento rispetto al risultato di aprile, aprendo la possibilità alla formazione di un esecutivo monocolore. Al contrario, l’elettorato iberico ha punito i socialisti, dimostrando anche di non gradire il ripetersi delle elezioni attraverso il calo dell’affluenza alle urne di due punti percentuali.

Pur restando il partito più votato del Paese con il 28% dei consensi, il PSOE registra un leggero calo sia al Congresso dei Deputati, passando da 123 a 120 seggi, che al Senato, dove elegge 110 rappresentanti, compresi i tre del Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC). Al contrario, la scellerata decisione dei socialisti ha permesso alla destra di guadagnare consensi, con i popolari che hanno eletto 88 deputati e 98 senatori, godendo di un incremento di oltre quattro punti percentuali (20.82%). Ma a festeggiare è soprattutto l’estrema destra di Vox, che ottiene più del doppio dei seggi rispetto ad aprile: 52 deputati e tre senatori, con un miglioramento che sfiora il 5% delle preferenze (15.09%), facendo registrare il miglior risultato per un partito di estrema destra dalla fine della dittatura.

Si allontana, dunque, la possibilità di un governo di centro-sinistra, anche perché le nuove votazioni non hanno giovato neppure alla lista Unidas Podemos (UP), che ha eletto trentacinque deputati, sette in meno rispetto ad aprile, pur ottenendo un buon 12.84% su scala nazionale. Il sistema elettorale spagnolo, tuttavia, ha penalizzato UP, che ha subito il sorpasso di Vox per la terza posizione in molti collegi elettorali.

All’ascesa dei nazionalisti di Vox, invece, corrisponde il calo della destra liberale di Ciudadanos–Partido de la Ciudadanía (Cs), che perde addirittura nove punti percentuali, fermandosi ad un deludente 6.79%, che non permette meglio dell’elezione di dieci deputati ed otto senatori.

Tra le altre forze rilevanti, la sinistra catalana di ERC (Esquerra Republicana de Catalunya–Sobiranistes) ha ottenuto tredici seggi tra i deputati ed altrettanti tra i senatori, mentre il Partito Nazionalista Basco (in basco: Euzko Alderdi Jeltzalea, EAJ; in spagnolo: Partido Nacionalista Vasco, PNV) ha conquistato rispettivamente sette e dieci scranni.

Difficile, a questo punto, capire quale sarà la composizione del prossimo governo spagnolo. L’unica opzione per l’ottenimento di una maggioranza sarebbe quella di una coalizione trasversale di tipo tedesco tra socialisti e popolari, che sancirebbe, anche per il PSOE, il definitivo passaggio tra le fila delle forze borghesi e liberiste. In alternativa, potrebbe esserci un nuovo riavvicinamento dei socialisti nei confronti delle forze di sinistra, potendo contare anche sugli eletti dei partiti locali delle varie comunità, per un governo di minoranza. A destra, infine, i popolari sembrano interessati a mantenere la promessa di non formare un governo con Vox, che dunque, nonostante la preoccupante crescita, dovrebbe restare fuori dai colloqui per la formazione del nuovo esecutivo.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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