Se le regioni del Nord vogliono l’autonomia, mettendo a repentaglio l’esistenza dello Stato unitario, dovrebbero prima restituire quanto sottratto al Sud con l’Unità d’Italia.

La questione dell’autonomia differenziata richiesta da alcune regioni settentrionali (Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna) è già stata dibattuta in altre sedi, e non ci soffermeremo a lungo sugli aspetti già trattati in altre analisi. Per quanto i documenti vengano tenuti segreti, la presa visione delle informazioni trapelate disegna un’immagine abbastanza chiara: quella di un Paese, l’Italia, la cui unità è messa a repentaglio. Dal Sistema Sanitario Nazionale all’istruzione, passando per tutti gli altri servizi pubblici, l’autonomia differenziata andrebbe ad allargare ulteriormente il divario esistente tra le regioni del ricco Nord e quelle del Sud, oramai vittime di un ritardo atavico che prosegue dal 1861, generalmente riassunto nella formula della Questione Meridionale.
Il Nord ha voluto l’Unità d’Italia ed ora è lo stesso Nord a volerla disfare, dopo essersi appropriato delle ricchezze provenienti dall’altra metà della penisola. Lungi dal voler tirare fuori le teorie neoborboniche o la cieca esaltazione di quella che fu la monarchia napoletana, non possiamo però evitare di sottolineare come l’Unità d’Italia fu vantaggiosa proprio per il Settentrione, che, dopo aver ridotto in povertà il Mezzoggiorno, ora vorrebbe disfarsene, considerandolo un inutile fardello per il proprio sviluppo.
Fu già Antonio Gramsci, infatti, ad affermare che l’Unità d’Italia fu in realtà un’operazione di piovrizzazione del Sud da parte del Nord, ed in particolare del Piemonte (o meglio, del Regno di Sardegna). Al di là di quella che vuole essere la retorica storica dello Stato unitario, quel processo non fu infatti altro se non una guerra mossa da uno Stato – la monarchia dei Savoia, appunto – contro tutti gli altri Stati che all’epoca componevano la penisola italiana. La posizione gramsciana, che condividiamo, non va però intesa come una volontà secessionista o di ritorno ad un presunto passato aureo, bensì rappresenta un’analisi attenta che trasforma la Questione Meridionale in Questione Nazionale. I mali di una parte d’Italia, in pratica, non possono essere risolti se non considerando il Sud all’interno dell’intero contesto nazionale: “La borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole, e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando se stesso dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca e all’industrialismo parassitario del Settentrione“, scriveva il filosofo sardo.
Anche l’analisi economica del Regno delle Due Sicilie e degli altri Stati pre-unitari, ci restituisce un quadro nel quale il Meridione era in realtà la parte più ricca del Paese. Ripetiamo: con questo non vogliamo contribuire alla leggenda di un passato aulico sotto la monarchia borbonica, ma possiamo certamente affermare che a Napoli circolavano ricchezze molto maggiori rispetto a quelle di Torino: nel regno dei Borbone aveva riserve per 443,2 milioni di lire, contro i soli 20 milioni del Regno di Sardegna; il settore industriale, in particolare in campo tessile e metalmeccanico, era a livello di quelli degli Stati più ricchi d’Europa; il reddito pro-capite era allineato con quello degli altri Stati italiani; la flotta napoletana era la seconda più grande d’Europa, dopo quella britannica. Indubbiamente, Napoli era un fiorente centro culturale europeo, che poteva vantare diversi primati, tra i quali il più noto è certamente l’inaugurazione, nel 1839, della prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici. Ancora oggi, la maggioranza delle riserve auree presenti presso la Banca d’Italia provengono da quelle che furono del Regno delle Due Sicilie.
Tornando a dove avevamo iniziato, possiamo dunque concludere provocatoriamente che le regioni che volessero ottenere l’autonomia differenziata – una sorta di secessione de facto ma non de iure – dovrebbero prima pagare il proprio debito accumulato nei confronti del Sud Italia. Più concretamente, affermiamo invece che è dovere di qualsiasi cittadino che abbia a cuore le sorti dell’intero Paese opporsi a questa scelleratezza. Al contrario, è necessario rispolverare la Questione Meridionale alla maniera di Gramsci, proponendo soluzioni su scala nazionale che abbiano l’obiettivo di redistribuire le ricchezze sia dal punto di vista geografico che tra le classi sociali.
BIBLIOGRAFIA
Antonio Gramsci, La Settimana politica [XV] Operai e contadini in L’Ordine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Einaudi, Torino, 1987, p. 377.
Giacomo Savarese, Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860, Cardamone, 1862.
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